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L’ ITALIA E LA COOPERAZIONE MEDITERRANEA: E’ LA VOLTA BUONA?

L’Algeria è certamente il più grande esportatore di gas naturale del continente africano e, alla luce del conflitto Russia-Ucraina e le sanzioni imposte al Cremlino, sta sicuramente giocando splendidamente una “partita” fondamentale per il rilancio del paese non solo dal punto di vista economico, ma anche sotto il profilo strategico e diplomatico. A provare quanto affermato è stata la richiesta da parte dell’amministrazione del presidente Abdelmadjid Tebboune affinché l’Algeria sia citata tra i paesi con economie emergenti (BRICS: Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica); è stato inoltre deciso di sviluppare maggiormente il progetto legato alla Belt and Road Initiative che vede il coinvolgimento cinese sul piano infrastrutturale, energetico ed esplorativo spaziale.

La richiesta di entrare a far parte dei BRICS non è dettata solamente da interessi economici, ma potrebbe essere stata posta anche per motivi diplomatici: l’inevitabile concorrenza con la Russia rischia di creare attriti con Mosca, con l’adesione sarebbe più semplice definire la rotta da percorrere per i rapporti di politica estera algerini. È importante ricordare come anche Arabia Saudita ed Egitto abbiano richiesto la menzione nei BRICS. Non è automatica l’adesione dato che sono previste alcune caratteristiche di governance specifiche e Algeri potrebbe ottenere un vantaggio strategico importante nell’equilibrio nordafricano, soprattutto se l’accorpamento avvenisse in un lasso temporale antecedente alle altre richieste poste dai paesi limitrofi. L’aspetto diplomatico-strategico rimane una priorità: dal 2013 la Cina è il principale paese esportatore dell’Algeria (a novembre è stato stipulato un accordo di cooperazione quinquennale), la Russia fornisce l’80% delle armi necessarie all’Algeria (è il paese che investe maggiori risorse nel settore militare di tutta l’Africa), il Marocco rimane un fronte “aperto” (le differenze di vedute riguardo all’autodeterminazione del popolo saharawi e l’operato del Fronte Polisario hanno assunto carattere internazionale a seguito della stipula degli Accordi di Abramo da parte di Rabat).

Il viaggio in Algeria di Giorgia Meloni, preceduta nei mesi scorsi da Mario Draghi, è stato un nuovo inizio per le relazioni tra i due paesi ed è auspicabile che tale rapporto non rimanga esclusivamente di natura energetica.

I ministri Piantedosi e Tajani si sono recentemente recati in Tunisia, l’Italia ha sicuramente bisogno che Tunisi sia un valido partner per sviluppare nuove cooperazioni e valutare dossier legati a sicurezza, energia e politiche migratorie. I rapporti sono da tempo distesi, ma il pericolo legato al tracollo economico che attanaglia la Tunisia è un fattore determinante per i flussi migratori e, conseguentemente, per la stabilità dell’intero Mediterraneo. L’infrastruttura strategica Elmed (progetto di interconnessione elettrica marittima creata con la sinergia dell’italiana Terna e l’azienda tunisina Steg) e il gasdotto TransMed (parte dall’Algeria e arriva a Mazara del Vallo, lambendo la penisola di El Haouaria) sono sicuramente prova di una partnership economica già florida, ma è importante che l’Italia non sottovaluti la crisi socio-economica che sta affrontando la Tunisia: il presidente Kais Saied ha subito una “batosta” nelle ultime votazioni parlamentari (l’astensione ha superato il 90%), è quindi deducibile che la formula di “iper-presidenzialismo” messa in atto non sia reale espressione del volere popolare. La situazione economica disastrosa condurrà all’imposizione di misure di austerità e ciò intaccherà sicuramente il programma di sussidi che sostengono le fasce sociali più fragili, solo un piano politico lungimirante saprà evitare il nascere di nuove proteste.

Tajani si è inoltre recato in Egitto: l’opinione pubblica nostrana è sicuramente ancora colpita dalle vicende di Regeni e Zaki, ma questo non ha impedito la creazione di un dialogo proficuo. L’Italia e l’Egitto già vantano relazioni commerciali forti, l’esempio principale sono i giacimenti Eni presenti nel paese dei faraoni: la nostra azienda ha assunto un ruolo determinante come soggetto gestore dei giacimenti egiziani e la scoperta del giacimento Zohr ha sicuramente donato nuova linfa ad accordi commerciali che rischiavano di essere messi in discussione sul piano diplomatico.

Il 28 gennaio Giorgia Meloni si è recata in Libia, un paese che negli anni scorsi è stato colpevolmente “dimenticato”. Questo paese è a tal punto centrale che, recentemente, William Burns (direttore della Cia) si è recato a Tripoli (dopo essere stato in Egitto) per un colloquio con Abdel Hamid Dbeibah (primo ministro) e il generale Khalifa Haftar (uno dei principali “candidati” alla presidenza); i principali argomenti di discussione sono stati di carattere energetico (petrolio e gas) e inerenti la lotta al terrorismo (il gruppo Wagner è indiscutibilmente protagonista, soprattutto nella zona di Sirte). Un fattore di prioritaria importanza per il nostro paese è la presenza di gruppi terroristici di matrice jihadista nella regione del Fezzan (confine con l’Algeria): è tristemente noto come tali cellule cerchino finanziamenti per le loro attività sfruttando l’immigrazione clandestina.

La situazione politica libica impone all’Italia una “presenza attenta”: il paese continua ad essere “diviso” tra due esecutivi, fondamentalmente entrambi privi di legittimazione.

È stato ufficializzato un accordo sul gas che vede protagoniste l’Eni e Noc (azienda nazionale libica degli idrocarburi): la collaborazione prevede un investimento di circa 8 miliardi di dollari.

Tutte le visite di stato svoltesi in questo ultimo periodo hanno sicuramente un minimo comune denominatore: è fondamentale che l’Italia assuma sempre maggiore consapevolezza geopolitica. I paesi presi in esame hanno problemi legati alla loro leadership interna o, nel “migliore dei casi”, sono lambiti da importanti deficit economici. Il partenariato deve assumere contorni anche politici per due ragioni: sviluppare intese ad ampio spettro capaci di contenere i flussi migratori e sostenere le autorità dei singoli paesi affinché il “caso-Gheddafi”, riassumibile come un disastro economico/sociale, non si ripeta o quantomeno non colga assolutamente impreparati i politici europei.

Arianne Ghersi

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