USA E ARABIA SAUDITA: VERSO NUOVI EQUILIBRI GLOBALI
Le relazioni tra Usa e Arabia Saudita potrebbero essere rivalutate, questo è il concetto che emerge da quanto espresso da John Kirby (Coordinatore della Comunicazione strategica del Consiglio di Sicurezza nazionale della Casa Bianca). I motivi di questa inversione possono essere molteplici, uno di questi è sicuramente di natura economica: la scelta dell’Opec+ di ridurre la produzione di petrolio (si stima un taglio di circa 2 milioni di barili al giorno a partire da novembre) è stata valutata dagli Stati Uniti come una decisione riconducibile a Riad dato che in questa organizzazione è inserita anche la Russia. Quest’ultima trae grande giovamento da questa iniziativa dato che le sanzioni imposte al Cremlino hanno ridotto gli introiti e, conseguentemente, una minor disponibilità del prodotto può agevolare le vendite di tutto il settore.
L’amministrazione Biden ha tentato di far desistere la famiglia Saud da questa iniziativa per ridurre l’inevitabile aggravarsi dell’inflazione, ma senza successo. Questo è solo l’ultimo tassello in ordine temporale che dimostra come i Paesi del Golfo siano prioritariamente interessati all’andamento delle proprie strategie commerciali e poco coinvolgibili in decisioni ideologiche. È palesemente intuibile come il partito democratico tema che l’aumento dei prezzi della benzina possa agevolare l’ala trumpiana.
È interessante dedurre come la monarchia saudita stia esplicitando il proprio ruolo di “alleato” e non di “satellite”. Altri sono gli attriti percepiti da Riad: l’accordo Jcpoa inerente al nucleare iraniano (Obama firmatario, Trump l’ha interrotto, Biden lo ridiscute) e la sensazione di insicurezza data dal fatto di ritenere gli Stati Uniti colpevoli di disinteresse dovuto alla progressiva intenzione di impegnarsi meno profusamente e meno direttamente nei fragili equilibri mediorientali. Al fine di scongiurare quest’ultima accusa, Barbara Leaf (assistente segretario di Stato americana per i Near Eastern Affairs) sta svolgendo colloqui in Qatar, Emirati Arabi Uniti, Kuwait ed Egitto.
A causa dell’avvicinamento tra Russia e Arabia Saudita, Richard Blumenthal (senatore) e Ro Khanna (deputato) hanno proposto di bloccare le vendite di armi a Riad per timore che avanzate tecnologie statunitensi possano in qualche modo agevolare il Cremlino. Questa proposta istintiva non trova però reale spazio applicativo dato che l’Arabia Saudita ha comunicato l’intenzione di fornire armi all’Ucraina.
In questa intricata vicenda anche l’Unione Europea sta tentando di non perdere gli “sforzi diplomatici” profusi: Enrique Mora (vice segretario generale del Servizio europeo per l’azione esterna – Esas) ha recentemente svolto degli incontri a Riad con alcune personalità di spicco dell’area e con funzionari del Consiglio di cooperazione del Golfo (Gcc).
È ragionevole immaginare che i Regni del Golfo (con l’annessione fattuale nello schema dell’India) non stiano tentando di “sfidare” gli Usa, come ipotizzato dagli stessi che in questo momento suddividono il mondo in un semplicistico pro-contro, ma che in realtà stiano cercando di trovare una nuova e propria identità globale in un vuoto lasciato da fattori come il conflitto ucraino, la progressiva conclusione del periodo di emergenza sanitaria e il riassesto economico da cui emergeranno sicuramente nuovi mercati. L’Europa sarebbe, in teoria, il miglior traghettatore di questa inedita fase, ma l’incapacità comunicativa tra gli stati membri neutralizza di fatto questa enorme potenzialità.
Quanto descritto si concretizza nell’intenzione dei Paesi del Golfo (ed altri “fattualmente limitrofi”) di volersi smarcare dal ruolo di meri produttori di materie prime (petrolio e gas), ma di imporsi per ritagliarsi un ruolo decisionale all’interno delle dinamiche globali. Proprio in virtù di tale strategia, il viaggio di Mohammed bin Zayed (presidente degli Emirati Arabi Uniti) a Mosca non è da ascrivere come una presa di posizione nel conflitto, ma come un tentativo di dimostrare non ostilità al Cremlino e, parallelamente, accreditarsi come serio interlocutore agli occhi dell’Occidente. Allo stesso modo anche un altro paese ha applicato una strategia simile: Tamim bin Hamad Al Thani (emiro del Qatar) ha sentito telefonicamente il presidente ucraino e ha svolto un viaggio in Kazakistan per incontrare Putin.
Arianne Ghersi
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