GUERRA E PROFITTI: IL CASO AZERBAIJAN
L’Azerbaijan, guidato dal suo presidente Ilham Aliyev, è il paese alle porte dell’Unione Europea che sta traendo maggior profitto dal conflitto Russia-Ucraina. Le motivazioni principali di questa asserzione sono due: il primo è di carattere “territoriale” in quanto la disattenzione mondiale sta facendo sì che Baku possa attuare le proprie mire espansionistiche nel quasi totale silenzio, il Nagorno-Karabakh (territorio al centro della disputa con l’Armenia) è tornato ad essere un campo di battaglia a tutti gli effetti; il secondo è di carattere economico: l’Azerbaijan sta aumentando gli scambi commerciali con l’Europa per garantire a questi ultimi riserve adeguate di gas.
L’Italia è uno dei paesi destinatari delle vendite e, attraverso la Tap (Trans Adriatic pipeline), collega Baku per mezzo del “Corridoio meridionale” alla Puglia.
Il 17 luglio di quest’anno Ursula von der Leyen si è recata nella capitale azera per siglare un accordo sul gas e si stima che verrà assicurato al vecchio continente un approvvigionamento di circa 20 miliardi di metri cubi. Ad agosto l’Azerbaijan, forte della posizione assunta a livello internazionale, ha violato l’accordo siglato il 9 novembre 2022 (il cessate il fuoco e la fine della guerra con l’Armenia) per poter riconquistare la regione di Lachin che nel 1992 ha proclamato l’indipendenza da Baku per dare vita alla Repubblica dell’Artsakh (altro nome con cui ci si riferisce alla Repubblica del Nagorno-Karabakh).
Il presidente azero intrattiene solidi rapporti diplomatici con l’Italia, infatti ad inizio settembre è stato ricevuto da Sergio Mattarella e Mario Draghi per dare nuova linfa al rapporto di partenariato esistente tra le due nazioni. L’Azerbaijan è, insieme all’Iraq, il principale venditore di greggio al nostro paese (5,5 miliardi di euro negli ultimi 10 anni) e ci fornisce il 13% delle riserve di gas. È facilmente desumibile il motivo dello sconcertante silenzio mediatico per l’ennesima violazione dell’autorità territoriale armena. In tale occasione è stata inaugurata anche la nuova sede diplomatica a Roma nei pressi di Villa Torlonia; a confermare l’alta credibilità di Ilham Aliyev è l’invito ricevuto per partecipare come ospite di spicco al Forum internazionale di Cernobbio.
La collaborazione con l’Italia si declinerà anche sul piano culturale: vedrà presto la luce la prima Università Italia-Azerbaijan: il progetto vede coinvolti gli atenei nostrani più prestigiosi (Politecnico di Torino e Milano, Università di Bologna, La Sapienza, Luiss).
Per quanto concerne l’aspetto meramente schematico-classificatorio dell’Azerbaijan, esso è da definirsi un paese democratico ma, gli osservatori meno distratti, non possono non notare che, successivamente all’Unione Sovietica, il potere è sempre stato ad appannaggio della dinastia Aliyev (il presidente ha addirittura nominato sua moglie, Mehriban Aliyeva, come vicepresidente nel 2017). L’Assemblea nazionale è guidata dal Partito del Nuovo Azerbaijan (Yap) e, a parziale conferma delle accuse di brogli susseguitesi negli anni, i pochi rappresentanti dell’opposizione svolgono un ruolo assai poco determinante. Un dato incontrovertibilmente preoccupante è riscontrabile nel fatto che sia stato abolito il limite massimo di mandati consecutivi per mezzo di un referendum nel 2009; l’unico altro paese in zona europea in cui è possibile trovare questa difformità è la Bielorussa (Alexander Lukashenko è stato al centro di numerose polemiche internazionali a ridosso delle elezioni tenutesi il 9 agosto 2020). A livello internazionale l’Azerbaijan può contare sul legame “fraterno” con la Turchia di Erdoğan.
La dinastia Aliyev è intrinsecamente legata non solo al potere politico, ma può vantare quote di proprietà delle principali banche del paese, nel mondo della comunicazione, nell’universo dell’imprenditoria (soprattutto costruzioni) ma, di particolare nota, sono le partecipazioni nelle aziende legate al petrolio e al gas.
Per quanto concerne il riacutizzarsi del conflitto nel Nagorno-Karabakh possiamo mettere in luce delle dichiarazioni con le quali l’Armenia avrebbe posto in allerta la comunità internazionale perché, nel caso non intervenisse, il governo di Yerevan chiederà la creazione di un accordo di cooperazione con la Russia e si avvarrà dell’aiuto che potrebbe essere fornito dall’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO) che fa capo al governo di Mosca.
Arianne Ghersi
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