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Tra i fiori, il ciliegio. Tra gli uomini, il samurai

Samurai-Origine-del-Giappone

Mi capita per le mani un volumetto: la data è vecchiotta (17esimo secolo), ma il contenuto pare interessante. È un testo sul Bushidō, il codice comportamentale dei samurai, cioè della casta guerriera giapponese, scritto da un confuciano come breve manuale per i suoi contemporanei. Il bushidō, che nasce già nel settimo secolo dopo Cristo, rappresenta uno sviluppo coerente con simili corpi para-normativi che ogni grande civiltà si è data, contenenti sia regole giuridiche in senso stretto (qui ad esempio: le somme minime dovute dal signore al samurai) sia, e soprattutto, regole morali (onestà nel servire la cosa pubblica, rispetto della parola data, pietà filiale..). Meglio passare a qualche assaggio del contenuto: facciamo parlare il testo.

Nel capitolo sui rapporti con la propria moglie, le parole sono queste: “Una volta che si è scelta una donna come sposa e la si è fatta chiamare dagli altri col nome di Signora, esprimere ingiurie non sarebbe che espressione da braccianti da bassi quartieri e non quella d’un samurai. Minacciarla facendo mostra di trarre la propria spada o darle un pugno sarebbero condotte inescusabili. Una donna di samurai sarebbe così paziente da tollerare piangendo pugni che sarebbero insopportabili per un uomo: ma ricorrere alla violenza quando qualcuno è incapace di opporvisi, come con l’altro sesso, non è comportamento da samurai.”

Davanti alla morte; in combattimento: “[..] se, per sfortuna, perde un combattimento ed è obbligato a consegnare la testa, esporrà arditamente il suo capo e morirà sorridendo.” e per malattia: ”Se un samurai non rendendosi conto che la sua malattia è incurabile e non pensa seriamente alla morte, se ascolta volentieri coloro che gli dicono che non è grave, e detesta chi dice la verità [..] questa morte sarà simile a quella di un cane o di un gatto, il fallimento definitivo di tutta una vita”.

Sull’educazione propria: “Benché il bushido implichi, per prima cosa, la perseveranza nella forza e nella valenza (che è fedeltà e coraggio, come spiegato in altro passo: nota mia) un samurai nient’altro che forte non sarebbe ammissibile. [..] se non studia le scienze non saprà mai le ragioni né delle cose antiche né delle moderne, e sarà in impaccio nelle difficoltà. Se è al corrente almeno sull’essenziale di ciò che concerne paesi stranieri e la propria patria non commetterà mai errori grossolani”..e dei propri figli: “Dall’età di sette od otto anni il figlio di samurai inizierà a leggere i quattro libri di Confucio, i cinque delle parole sacre, ed i sette sulla guerra. Conviene che si alleni con la scrittura: e continui senza svogliatezza i suoi studi”.

E ancora, riguardo la condotta generale da tenere: “[un buon samurai] sarà leale verso il suo signore, praticherà la pietà filiale coi genitori, approfitterà dei suoi più piccoli momenti di libertà per studiare ed esercitarsi alle armi. Sarà sempre modesto e senza lusso. Ma se si prende ciò per avarizia si è completamente in errore: in caso di necessità spenderà tutto il suo denaro senza rimpianto.”

In gradi diversi, è specificato, ogni gruppo sociale deve rispettare ognuna di queste e delle altre similari regole esposte.

Sono dettati antimoderni. Ma sono leggi affini a quelle che hanno tenuto insieme ogni grande civiltà: sono il “costume degli avi”, tramandato di padre in figlio per la perpetrazione delle strutture sociali fondamentali di generazione in generazione. Quando viene meno un orizzonte valoriale comune, quando l’etica sociale manca, ogni società crolla. È questo il nostro destino?

Andrea Carbone

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