ELEZIONI IN NIGERIA: PRIMO GRANDE BANCO DI PROVA PER L’ AFRICA
Fin dal mese di gennaio le notizie giunte dall’Africa non sono certo state rassicuranti: nella Repubblica Democratica del Congo è stata data alle fiamme una chiesa, in Nigeria è stato ucciso un prete, in Burkina Faso (a Liki, un villaggio a 15 km circa dalla città di Arbinda, nella zona settentrionale del paese) sono state rapite cinquanta donne. Non si possono considerare azioni “isolate” e “casuali” perché così si negherebbe la penetrazione ad opera di cellule jihadiste che hanno saputo costruire una rete (Wilayat) in un territorio ampio e che travalica una singola autorità statale.
Particolare attenzione deve destare la situazione in Burkina Faso dato che l’area in cui è localizzata la città di Abinda è proprio in una delle zone maggiormente colpite dal terrorismo jihadista, una piaga che attanaglia il paese da anni. Si stima (ovviamente le fonti sono assai approssimative) che dal 2014 siano stati uccisi migliaia di civili e che circa 2 milioni di persone siano dovute scappare (la popolazione burkinabé conta circa 22 milioni di abitanti). Il colpo di stato militare ha potuto garantire un ritorno della sicurezza, ma la situazione interna è ormai talmente compromessa da non garantire la reale tenuta sociale.
Il 15 gennaio in Nigeria un gruppo jihadista ha colpito a Kafin-koro (regione di Paikoro) la residenza parrocchiale di una chiesa cattolica: ha perso la vita padre Isaac Achi che non è potuto essere soccorso dato che il luogo di culto è stato incendiato dagli assalitori. È stato ipotizzato che i colpevoli siano appartenenti al gruppo etnico dei Fulani, considerati affiliati allo Stato islamico nel Grande Sahara (ISGS, attivi maggiormente nella fascia geografica del Sahel); questi si possono ritenere integrati alla provincia dell’Africa occidentale dello Stato islamico (ISWAP, Islamic State’s West Africa Province) che esercita il suo controllo in tutto il bacino del lago Ciad, nel sud-est del Niger, nella zona nord orientale della Nigeria.
La zona del Sahel è contesa tra ISGS e Jama’a Nusrat ul-Islam wal Muslimin (Jnim, affiliati ad Al-Qaeda) e da tempo le forze di sicurezza francesi tentano invano di arginare queste spinte estremistiche. Boko Haram, “famoso” in Nigeria per anni, è stato eclissato da ISWAP a causa delle rigide condizioni a cui sono sottoposti i combattenti.
Alla luce di quanto sommariamente descritto risulta evidente quanto fosse importante l’appuntamento elettorale del 25 febbraio in cui i cittadini erano chiamati alla urne per eleggere il Presidente e i membri del Parlamento in Nigeria. Il vincitore è stato Bola Tinubu, candidato del partito di governo che ha conquistato il 37% dei voti (su 8,7 milioni di persone aventi diritto, i suoi due principali sfidanti ne hanno avuti quasi sette e circa sei). Questo fine settimana nigeriano è stato però teatro di ritardi e violenze: il primo aspetto è dovuto all’inserimento di più moderne tecnologie per il conteggio (utilizzo di dati biometrici e sito web con aggiornamenti costanti), il secondo raccoglie episodi in cui bande armate hanno provato ad organizzare roghi negli uffici elettorali o semplici episodi di intimidazione verso i cittadini che si recavano alle urne.
Il motivo per cui queste elezioni segnano un passo storico è la composizione “etnica” dei candidati che, per la prima volta, rappresentavano i tre principali gruppi presenti nel paese: Hausa-Fulani, Igbo e Yoruba. I sondaggi alla vigilia del voto davano per vincitore Peter Obi, ma tali indagini non possono essere considerate attendibili perché svolte attraverso smartphone, dando quindi la possibilità di esprimersi solo a coloro che vivono in aree urbane ed appartengono alla “classe media”. La maggioranza degli elettori risiede in zone povere e rurali, insediate principalmente nel nord del paese.
I fattori che hanno sicuramente influenzato le preferenze elettorali sono: la religione, le capacità economiche, l’area di residenza (nord/sud). Come sovente avviene nei paesi africani, sono state poste numerose accuse di brogli ma lo stesso ex presidente (Olusegun Obasanjo) ha esortato i neo eletti affinché si impegnino prontamente a impedire che il paese cada vittima del caos. I difficili rapporti che intercorrono tra cristiani e musulmani hanno indotto il paese a seguire una norma non scritta per cui a un presidente cristiano ne segue uno musulmano e viceversa ma, in questo caso, il “patto consuetudinario” è stato violato.
Femy Kayode, scrittore nigeriano, a seguito dei risultati della tornata elettorale, ha dichiarato: “Il Paese è destinato all’inferno”; il riferimento non è direttamente da collegarsi alle differenze dovute al credo religioso, ma soprattutto alla corruzione dilagante che rende impossibile una seria progettazione di azioni sia a carattere interno che estero.
Arianne Ghersi
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