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L’importanza delle abilità diplomatiche dell’Egitto

L’Egitto, con il suo presidente Al-Sisi, fin dalle prime ore del riacutizzare dello scontro tra Israele e Palestina ha svolto un ruolo di mediazione che difficilmente qualsiasi altro stato avrebbe potuto sostenere dati i buoni rapporti intercorsi sia con lo stato ebraico sia con Hamas. Questa capacità è stata a tal punto universalmente riconosciuta da spingere gli Usa a cedere lo scettro del ruolo di pacificatore allo stato faraonico e ha spinto Joe Biden a chiamare il presidente egiziano, cosa mai avvenuta dal momento della sua elezione.

Nei giorni degli scontri tanti sono stati gli appelli che invocavano un cessate il fuoco, ma solo la visita a Gaza del capo dell’intelligence egiziana Abbas Kamel ha reso possibile quanto fino ad allora solo auspicato. Oltre alle indubbie capacità strategiche del presidente Al-Sisi dobbiamo però ricordare che la striscia è storicamente un interesse importante: infatti dal 1948 al 1967 è stata amministrata dal governo cariota.

L’Egitto già da tempo si sta muovendo per acquisire un ruolo chiave nello scacchiere mediorientale e nelle questioni spinose legate alla Libia, in questo frangente ha solo confermato la validità del suo operato. Questi successi diplomatici potrebbero portare anche ad una nuova “valutazione” da parte degli Usa, che al momento sembrano giudicare lo stato egiziano unicamente come un satellite dato l’immobilismo di molti altri paesi arabi che, essendo stati firmatari lo scorso anno degli Accordi di Abramo, hanno scelto un ruolo meno incisivo nella vicenda. Proprio questo ultimo aspetto pone l’Egitto in una condizione di vantaggio in quanto l’accettazione dello stato ebraico risale ad un periodo storico decisamente meno recente: gli accordi di Camp David del 1978 in cui fu il primo paese arabo a riconoscere Israele, seguito poi nel 1994 dalla Giordania.

Gioca un ruolo importante anche la gestione dell’immagine che l’Egitto ha saputo proporre in questo frangente in quanto è indubbio che la popolazione egiziana sia molto attenta alla causa palestinese e che osteggi molte politiche intraprese dallo stato ebraico, ma il governo ha saputo sempre tenere un equilibrio senza mai criticare Israele consapevole di quanto sia importante la stretta collaborazione a livello di intelligence tra i due paesi.

Al-Sisi conferma di essere un abile stratega anche nella gestione dei rapporti con Hamas. È infatti consapevole che essi hanno tratto ispirazione dalle frange più estreme dei Fratelli Musulmani (messi al bando in Egitto) ed interpretando un ruolo di mediazione si è così avvicinato ad avere un maggiore controllo in una parte del suo territorio particolarmente critica, la penisola del Sinai.

Dal punto di vista interno il presidente egiziano sta portando avanti numerose riforme urbanistiche, sta tentando di razionalizzare la spesa sociale pubblica e si sta impegnando a ridurre la disoccupazione così da garantire un consenso sempre più solido al suo governo.

Unico tasto dolente che si profila è la costruzione della Gerd, un nuovo piano idroelettrico che Adis Abeba ha pensato per incrementare le proprie risorse idriche. Questo progetto ha un impatto importante sulle capacità idriche del Nilo (si stima che il 90% dell’approvvigionamento d’acqua egiziano avvenga proprio da questo fiume) e ciò ha reso tesi i rapporti tra l’Egitto e l’Etiopia. Data proprio l’importanza della vicenda è intervenuto il nuovo presidente dell’Unione africana, Felix Tshisekedi, ma nulla è cambiato. In questa partita interviene inoltre il Sudan, danneggiato anch’esso dalla costruzione della diga.

Questo ultimo aspetto potrebbe porre in serio pericolo l’apparato diplomatico costruito dal Cairo in quanto le conseguenze delle rivendicazioni idriche potrebbero scontentare la Turchia che sta assumendo sempre più un ruolo rilevante nell’economia del continente africano.

Arianne Ghersi

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