RITORNO ALLA LIRA? MA PER FAVORE!
Ancora oggi è tema di grande discussione la questione della moneta unica. C’è chi è sempre stato a favore, chi contro. Poi ci sono i nostalgici che vorrebbero un ritorno della vecchia moneta: la Lira.
Ma è stato veramente l’euro a mettere in ginocchio l’Italia e la sua economia?
Occorre fare chiarezza e concentrarci sulla storia recente e sui punti critici.
Guardiamo un po’ di dati. Questo l’andamento del PIL italiano dal 1990 ad oggi (considerando ovviamente che l’euro entrò in vigore nel 2001):
1990: 1.181 mld di dollari (USA)
2000: 1.144 mld di dollari
2010: 2.134 mld di dollari
2018: 2.084 mld di dollari
Un trend che risulta perciò essere lievemente in calo dal ’90 al 2000, quando ancora era in vigore la Lira, ma sorprendentemente in significativo aumento dal 2000 al 2010, ossia durante il primo decennio dell’euro. I dati non mentono: non è stato l’euro a causare la decrescita dell’Italia.
Ricordate cosa è successo nel 2011? Dimissioni forzate del governo Berlusconi, insediamento del governo tecnico guidato da un personaggio dal discutibile curriculum di nome Mario Monti.Ebbene, il professorone si è fatto promotore di una politica di austerity, che ha tagliato le gambe ai cittadini e alle PMI, il vero motore dell’Italia.Il tutto con un pallottoliere e senza alcuna lungimiranza. Capite perché affidare la Politica ai tecnici è un suicidio?.
Alla luce, anche, di questi numeri, possiamo dire che l’Italia si è scavata la fossa con le politiche di austerity, ignorando la circolarità dell’economia. L’euro ha, anzi, favorito una notevole crescita.
Le azioni correttive dovrebbero, piuttosto, contemplare i negoziati con questa Unione Europea iniziata male e continuata peggio, perciò occorre anche guardare a casa nostra. La politica italiana sperpera soldi in modo incomprensibile, è pertanto naturale che altri paesi, pur con tutti i limiti presenti nel sistema europeo, non si fidino di noi.
Questo elemento diventa di primaria importanza per smorzare tutte le insurrezioni per il ritorno ad una moneta sovrana. Cosa ci potremmo fare infatti con una moneta debole? Vero, l’Italia è nella top 10 dei Paesi esportatori, tuttavia siamo sempre meno autosufficienti ed il 70% del nostro import proviene dai Paesi europei. Cosa significa questo? Con una moneta debole dovremmo acquistare da Paesi con una moneta decisamente più forte. Ciò implicherebbe ripercussioni significative sulla nostra economia reale. Dal punto di vista finanziario, sarebbe più elevato anche il rischio di cadere vittime di speculazione, come accaduto nel 1992 per mano di Soros. Gli scellerati accordi sul Panfilo Britannia, per citare un altro fatto, vennero stipulati nel ‘92, quando ancora c’era la Lira. Stesso discorso vale per l’apertura dell’acquisto di titoli di stato ai creditori stranieri.
Senza entrare in tecnicismi forzati, il valore della moneta è misurabile da chiunque: non augurerei a nessuno di prendere un caffè a Copenaghen con la Lira, perciò immaginate di dover fare affari con una moneta “popolare” (che, per evitare equivoci, verrebbe comunque emessa da una banca privata). L’economia italiana subirebbe un arresto che farebbe gola a quei privati interessati a comprare a basso costo gli assetti strategici nazionali.
È chiaro quindi che gli strumenti per parare il colpo si possono cercare al momento solo in Europa. Ma, per poter negoziare su MES, Eurobond, Recovery Fund, etc., occorre prima reimpostare le politiche economiche dello Stato italiano, per poter garantire una certa efficienza.
Una soluzione palliativa può essere poi quella di creare blocchi interni alla UE formate da Stati con economie simili tra loro (per esempio un blocco mediterraneo composto da Italia, Francia, Spagna e Portogallo) e costituire una moneta parallela all’euro, magari a scadenza temporale, in modo da assicurarsi una circolazione economica. Un esempio concreto avvenne, ormai un secolo fa, quindi in un contesto diverso, nel cuore dell’Europa: in una cittadina austriaca, Worgl, nel 1932, la moneta scarseggiava e la disoccupazione era alle stelle. Il borgomastro, ispirato dall’economista Silvio Gesell, decise così di emettere gran parte dei 32.000 scellini rimasti nelle casse del comune sotto forma di moneta deperibile. Questa moneta, infatti, se inutilizzata, doveva essere rinnovata ogni mese con una marca da bollo pari all’1% del suo valore nominale. In un anno, quindi, avrebbe perso il 12% del suo valore. Questo sistema favorì una rapida circolazione dell’economia reale, risanando in modo stupefacente i conti del comune, fino al momento in cui la Banca Centrale Austriaca lo dichiarò illegale.
Le soluzioni possono essere di vario tipo, ma gli elementi da cui partire dovranno pertanto essere due: l’efficienza della politica nazionale come una variabile fondamentale; la conoscenza del pericolo che può causare una moneta debole. Solo così potremo salvare un sistema economico al collasso.
Lorenzo De Bernardi
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