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CON BOLSONARO NON CI SI LEGA

Un caldo invito a non lasciarsi trascinare dai facili entusiasmi di certi populisti nostrani

Dimmi con chi ti schieri e ti dirò chi sei: è facile in questo momento storico dare vita ad aggregazioni sbrigative, fondate sulla comoda contrapposizione di due blocchi politici, l’uno internazionalista-liberale e l’altro sovranista-antiliberale. E il rito si è ripetuto anche in occasione dell’elezione del nuovo leader del Brasile, Jair Bolsonaro. Ma, nell’impazienza della suddetta bipartizione, troppe specificità vengono oscurate; ad esempio, a seconda del contesto geopolitico di riferimento, uno stesso termine come ‘sovranismo’ può assumere significati e progetti politici molto diversi. Perciò, se le etichette possono servire intuitivamente in un primo momento, altrettanto presto esse tendono a formare incoerenti ammucchiate. Se in questo tranello cade la quasi totalità di media e giornalisti, che del cripto-fascismo fanno il proprio pane quotidiano e dell’iper-semplificazione la propria arte, non c’è di che stupirsi; ma se anche i vertici della Lega si lasciano sedurre da questi facili blocchi, allora qualche osservazione più approfondita diventa opportuna.

La biografia politica del personaggio d’oltreoceano è già di per sé caricaturale. Da militante incoerente dell’estrema destra, una volta entrato nel parlamento brasiliano è passato continuamente di partitino in partitino, ornandosi ripetutamente delle più becere dichiarazioni razziste, facendosi protagonista di discriminazioni esplicitamente omofobe e diventando lo zimbello della propria stessa parte politica. L’ascesa è stata poi conseguita in pochi anni con una coalizione precipitosa, scommettendo sul tema dell’immigrazione e organizzando una campagna elettorale innestata su fake news riecheggiate ad oltranza tra Facebook e WhatsApp, per le quali sono stati spesi milioni di dollari. Infine, molto ha giovato l’estromissione del vero concorrente Lula.

L’elezione di Bolsonaro, in ogni caso, fa parte di una più vasta congiuntura internazionale che, dopo decenni di liberal-liberismo sfrenato, premia chi promette sicurezza e protezione. E, in effetti, il clima di insicurezza sociale e materiale (oltre che esistenziale) non è un mero accidente nel flusso della Storia, bensì l’esito consapevole dell’ideale ‘umano’ liberale. Tale visione incoraggia la soppressione di qualsiasi forma di vincolo comunitario e morale e lo sradicamento di ogni nesso sociale, come condizioni della costruzione di una società quale puro aggregato di individui slegati, concorrenziali e ‘imprenditori di se stessi’. L’insicurezza e l’imprevedibilità divengono il quadro ideale della società liberale: insicurezza come precarizzazione e flessibilizzazione lavorativa, come soppressione del welfare, come mobilità perenne, come cultura criminogena del guadagno ad ogni costo, come migrazione massificata e deregolamentata, come incessante incremento della disuguaglianza; e imprevedibilità come crisi finanziarie improvvise, come costante minaccia di delocalizzazione, come accidentalità ed episodicità dei rapporti umani e sociali, nonché delle identità stesse.

Ebbene, posto tutto questo, qual è la proposta economico-politica di Bolsonaro? Paradossalmente (ma solo fino a un certo punto…) il suo è un programma schiettamente liberista, che prevede tagli alla spesa pubblica, compressione salariale, deregolamentazione e detassazione indiscriminata. È questo il mix contraddittorio che il leader brasiliano incarna: egli promette da un lato la sicurezza sociale, e dall’altro promuove le cause che tendono a produrla e cronicizzarla (una contraddizione presente anche in Alternative für Deutschland, invece totalmente assente in Marine Le Pen). Un programma autoalimentantesi, che interviene sui sintomi anziché sulle cause della malattia e dirotta deliberatamente la possibilità di ogni cura strutturale e di lungo termine.

Non a caso, infatti, oltre a qualche rimprovero di comodo per le uscite indisciplinate di Bolsonaro e all’intermittente refrain indignato per la violazione dei diritti umani, la sua vittoria è stata salutata con grande favore della finanza internazionale. Così cadono le maschere e si scopre che, in ultima analisi, ciò che veramente conta sono le impressioni e la reazione dei mercati. Se la ricetta liberista è servita, non c’è nessun vero pericolo dietro l’angolo. Così Bolsonaro è come un invitato ad una cena di gala, solo vestito in modo grottesco e dai modi più rudi, ma esattamente con le stesse idee di tutti gli altri – e, non a caso, è un invitato.

Come sempre, la politica economica ha fatto la differenza; e deve farla anche per noi. Nella sua promozione dei germi dell’insicurezza, nel suo securitarismo formale e astratto, Bolsonaro non è e non dev’essere un alleato della nuova Lega, la quale ha nelle classi sociali più deboli ed esposte, dagli operai ai piccoli imprenditori, vere vittime del liberismo economico globale, il proprio odierno bacino elettorale. Lasciamo ai media i giudizi sbrigativi sulle etichette politiche; noi per i popoli europei progettiamo ben altro futuro. Sappiamo chi siamo, perciò sappiamo con chi non allearci. Bolsonaro deve esserne l’esempio.

 

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