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FLAT TAX E REDDITO DI CITTADINANZA? SI PUÒ

E si può anche conciliare col Federalismo!

Descritti come inconciliabili, flat tax e reddito di cittadinanza sono in realtà complementari avendo in comune un punto d’incontro importante, anzi decisivo: quello di creare nuovi posti di lavoro incrementando lo sviluppo e riducendo il malessere sociale. In altre parole: facendo incontrare offerta e domanda. Premesso questo, resta lo scoglio, probabilmente insormontabile, di reperire i fondi per realizzare contemporaneamente le due principali promesse elettorali del governo gialloverde.

Per rendere possibile un percorso rischioso che potrebbe concludersi in un clamoroso fallimento, può tornare utile proporre il metodo sperimentale usato dal PCI quando, a metà degli anni Settanta del secolo scorso, una volta conquistati i comuni delle più importanti città italiane, i dirigenti di quel partito decisero di mobilitarsi per far approvare, passo dopo passo, leggi e regolamenti che comportavano mutamenti sostanziali nei costumi del popolo, alcuni dei quali, almeno per la forma mentis del tempo, risultavano indigeribili o, addirittura, scandalosi. In quell’occasione, si trattò di un percorso distruttivo, cioè inteso a scardinare un sistema sociale ed economico efficiente nel suo insieme. Nel nostro caso, di rimetterlo in piedi. A parte questa grande differenza, resta il fatto che si trattò di un metodo risolutivo dal momento che, nel giro di cinque anni, furono demoliti i principali pilastri dell’ordinamento statale che, dapprima, precipitò la vita degli italiani in un caos esistenziale foriero di mille malesseri, e poi spalancò la porta a una sempre più diffusa miseria.

Studiato nelle segrete stanze e mai emerso in superfice, il percorso di questo progetto rivoluzionario può essere descritto solo da chi ha avuto occasione, prima di viverci dentro e poi di studiarlo, attraverso l’analisi del suo metodo applicativo. Qui proviamo a descrivere questo metodo, tramite la simulazione dei passaggi indispensabili a portare a compimento il cammino pieno di ostacoli dell’operazione “flat tax e reddito di cittadinanza”.

Prima fase.

Per prima cosa si procede alla stesura del progetto, descrivendone con chiarezza le motivazioni primarie e gli obiettivi che si intendono raggiungere, avendo cura di sottolineare l’opportunità di procedere gradualmente attraverso il “metodo sperimentale” che consente di valutare via via l’efficacia di ciascuna azione e/o provvedimento e, se del caso, apportare le opportune correzioni. Trattandosi, in questo caso, di finalità nobili oltreché molto sentite, il progetto potrà essere presentato ufficialmente, avendo cura di far rilevare la prudenza che ha guidato il buon legislatore, cioè quello che, al momento opportuno, sa mettere da parte la propaganda per calarsi nella realtà delle cose. In questo caso, rappresentata dalla necessità di fare i conti con la situazione delle pubbliche finanze e scongiurare il rischio di un esito puramente assistenziale.

Seconda fase.

Individuazione degli enti istituzionali presenti sul territorio che dovranno essere coinvolti nell’operazione (assessorati con competenze specifiche, confindustria, camere di commercio, centri per l’impiego, agenzie di formazione professionale), ma anche altri soggetti più informali, in grado di mettere in moto inedite sinergie e far emergere possibilità di sviluppo sempre trascurate. La loro passione e competenza, almeno in una certa misura, potrà compensare l’inerzia e l’inaffidabilità che purtroppo caratterizza non pochi enti di cui sopra, i quali, sotto la spinta e il controllo “popolare”, saranno costretti a diventare finalmente operativi. Da notare che l’idea di introdurre soggetti estranei all’ufficialità in un percorso di rinnovamento, a suo tempo, fu decisiva per il PCI che, infatti, per realizzare ciò che aveva in mente, lasciò fuori le istituzioni di cui ancora non possedeva il controllo, basandosi esclusivamente sulla determinazione di associazioni, singoli esperti e volontari. Che, detto per inciso, finché il progetto di destrutturazione non fu portato a compimento, s’impegnarono a titolo assolutamente gratuito. Va aggiunto che neppure la CGIL, allora unico sindacato organico al partito, venne coinvolta nella fase sperimentale, in quanto avendo, per sua natura, pretese di applicazione universale, avrebbe potuto inficiare l’esito di un progetto che, prima di essere accettato a livello popolare, aveva bisogno di un’adeguata e graduale attività di persuasione – o, per meglio dire, di un vero e proprio lavaggio collettivo del cervello.

Terza fase.

Scelta delle platee nel cui ambito sperimentare l’intervento. Probabilmente risulterà necessario partire dal grado di sofferenza sociale presenti nei territori, facendo attenzione a misurare in via preventiva il numero degli aspiranti al reddito di cittadinanza alle reali possibilità di ottenere uno sbocco lavorativo. Contestualmente, si dovrà provvedere alla selezione dei richiedenti, mettendo in essere strumenti atti a valutare la chiara intenzione di uscire da uno stato di indigenza ed ottenere un posto di lavoro (questa operazione dovrebbe essere interamente a carico dei centri per l’impiego riformati). Inizialmente il loro numero potrà essere superiore alle prospettive di lavoro concrete in quanto è prevedibile che, alla prova dei fatti, la prima selezione non risulti sufficiente a far emergere sia le attitudini che la sincerità dei propositi. Nello stesso modo e con pari attenzione, dovranno essere selezionate le piccole e medie imprese da inserire nel progetto sperimentale, in quanto dalla loro reale disponibilità a corrispondere con un’azione tangibile all’opportunità di un provvedimento a loro favorevole dipenderà l’esito del progetto e quindi la possibilità di riprodurlo su larga scala e con esiti positivi, sia per lo sviluppo che per il risanamento dell’economia.

Quarta Fase

E qui entrano in scena le agenzie di formazione regionali. Abituati a non misurarsi con la realtà e mai sottoposti ai controlli che dovrebbero verificare l’esito dei progetti per i quali hanno ottenuto un finanziamento pubblico, questi enti, al pari dei centri per l’impiego, dovranno accettare di essere affiancate e indirizzate verso approdi concreti da chi, in possesso dei requisiti necessari, sia per motivazioni d’interesse personale (per esempio i potenziali datori di lavoro), sia per generosa disponibilità a tramandare mestieri in via di estinzione di cui conoscono le tecniche.

Quinta Fase

Consiste nell’attribuzione della responsabilità dei progetti distribuiti sul territorio, responsabilità che dovrà essere individuale. Si tratta, questo, di un passaggio di particolare difficoltà per due ordini di fattori. Il primo perché, com’è ovvio, un percorso distruttivo come fu quello compiuto dal PCI nella seconda metà degli anni Settanta del secolo scorso, risulta di gran lunga più facile di un percorso costruttivo, di risalita, per così dire. E –  fattore secondario ma di non minore importanza –  perché allo stato attuale delle cose è assai difficile individuare, nell’ambito della pubblica amministrazione, un funzionario o un dirigente che sia contemporaneamente in possesso della disponibilità mentale e delle competenze professionali necessarie a svolgere un ruolo di questo genere. Difficile e tuttavia non impossibile, in quanto come in altri tempi e luoghi, anche nella dissestata Pubblica Amministrazione italiana esiste una piccola percentuale di uomini e donne di buona volontà, dotati di memoria e di quella capacità critica che permetterà loro di rimettere insieme i cocci prodotti in decenni rovinosi. Un serbatoio a cui attingere, naturalmente cercando con attenzione, si può trovare tra coloro che hanno sempre svolto il proprio dovere con efficienza e silenziosamente, spesso senza accedere ad avanzamenti di carriera che pure avrebbero meritato.

Attività di raccordo

La messa in pratica di un progetto complicato come questo comporta un costante lavoro di messa a punto degli strumenti adatti a renderlo operativo. E, proprio a questo proposito, si torna a fare riferimento ai metodi dei politici del PCI, i quali, una volta raggiunta una qualsiasi posizione di potere, non si limitarono a cambiare la prassi ma stravolsero la legislazione mettendo in piedi quel sistema farraginoso e paralizzante di leggi, regolamenti, circolari attuative, conferenze di servizi, commissioni e tavoli di lavoro planetari con cui si continua a fare i conti e che, per la loro stessa natura, sono incompatibili per qualsiasi efficace azione di governo.

 

Miriam Pastorino, Presidente Voltar Pagina

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