EURO: SE LA SOLUZIONE NON FOSSE LASCIARE, MA RADDOPPIARE?
Da qualche tempo abbiamo imparato a conoscere Steve Bannon, nota figura dell’establishment americano. Parliamo ovviamente del nuovo establishment, non più quello dei Clinton e di Obama, bensì quello protezionista.
Bannon ha recentemente rivelato il suo progetto di fondazione per sostenere i movimenti populisti e sovranisti d’Europa. Iniziativa che istintivamente potrebbe far sorridere quegli europei che già immaginano un alter ego di Soros. Andando però più a fondo della questione, non possiamo però non notare alcune ambiguità. Innanzitutto, è opportuno osservare che il concetto di sovranismo in America è un pleonasmo. Da sempre, infatti, la politica degli USA è improntata sull’imposizione di un modello unipolare a stelle e strisce da esportare oltreconfine. Questo sistema viene portato avanti per inerzia dalle agenzie e dai gruppi di pressione, più che dai governi stessi. Non fu casuale l’affermazione di Ford, il quale, nella sua autobiografia, dichiarò che il suo primo pensiero dopo la vittoria delle elezioni fu: “Bene, ora che sono presidente, posso decidere a che ora del giorno recarmi al cesso”. Il protezionismo di Trump non va quindi ad accrescere un sovranismo da sempre esistente: gli Stati Uniti, infatti, non devono rendere conto a nessuno, ora come ai tempi dei Bush, dei Clinton, ecc…
Ma allora, cosa si nasconde dietro a tutto ciò? Che interessi possono avere gli USA ad alimentare l’euroscetticismo? La verità non potremo mai averla in tasca. Non siamo in grado di stabilire se l’iniziativa sia del singolo Bannon o promossa da tutto il sistema. È però altrettanto doveroso porsi dei dubbi riguardo alle prospettive europee: l’euroscetticismo implica, infatti, una volontà di uscire dalla moneta unica, l’euro nel nostro caso. Qualcuno,a tal proposito, ricorderà la vicenda di Saddam, impiccato ufficialmente per non aver consegnato le armi chimiche, fornitegli anni prima dagli stessi USA, che in realtà erano già state esaurite. La realtà è che Saddam fu ucciso perché voleva impostare un mercato del petrolio utilizzando l’euro come riferimento. Non è perciò fuori da ogni logica sospettare che dall’altra sponda dell’Atlantico temano una valuta più forte del dollaro, perchè, con una moneta unica e stabile, l’Europa potrebbe giungere progressivamente ad una totale indipendenza, cosa che gli Stati Uniti non possono permettersi, in quanto verrebbe sancita la fine del loro impero. E, chi lo sa, potrebbe essere il primo passo verso la disgregazione di un’alleanza realmente forzata, ossia la NATO.
È altrettanto opportuno ricordare poi che la riduzione del potere d’acquisto dei nostri cittadini è dovuta in primis all’elevata tassazione ed alle politiche di austerity. Qualche ente sovranazionale ha imposto queste ultime, vero, ma la causa primaria è da ricercarsi nelle speculazioni finanziarie, e sarebbe stupido pensare che con una “nuova lira” ci si possa mettere al riparo dal Soros di turno. Gli scellerati accordi sul Panfilo Britannia, per esempio, vennero stipulati nel ‘92, quando ancora c’era la lira. Idem l’apertura dell’acquisto di titoli di stato ai creditori stranieri. Le variabili in gioco sono troppo aleatorie ed incontrollabili per poter pretendere che una piccola moneta nazionale non sia più facilmente attaccabile e che con essa si possa ristabilire tutto.
Possiamo piuttosto pensare ad un’altra soluzione, parallela alla valuta comune: la moneta complementare. Piccolo excursus storico: in una cittadina austriaca, Worgl, nel 1932, la moneta scarseggiava e la disoccupazione era alle stelle. Il borgomastro, ispirato dall’economista Silvio Gesell, decise così di emettere gran parte dei 32.000 scellini rimasti nelle casse del comune sotto forma di moneta deperibile. Questa moneta, infatti, se inutilizzata, doveva essere rinnovata ogni mese con una marca da bollo pari all’1% del suo valore nominale. In un anno, quindi, avrebbe perso il 12% del suo valore. Questo sistema favorì una rapida circolazione dell’economia reale, risanando in modo stupefacente i conti del comune, fino al momento in cui la Banca Centrale Austriaca lo dichiarò illegale.
Vi possono essere varie tipologie di moneta complementare, che generalmente sono accumunate da caratteristiche quali la non cumulabilità, in quanto il fine primario è incentivare una rapida circolazione del denaro, la limitatezza geografica e la presenza di un tasso di cambio. Anche dei semplici buoni pasto possono essere, per esempio, considerati come forma di pagamento complementare. Perché allora non tentare questa via, sicuramente tutta da verificare, ma di certo più controllabile di una moneta aperta alle speculazioni?
Sovranisti di tutta Europa, unitevi, non dividetevi e non cedete agli istinti: la soluzione potrebbe non essere lasciare, ma, al contrario, raddoppiare!
Lorenzo De Bernardi
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