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PARLAR MALE DEL VENEZUELA PER NON DARE PROBLEMI ALLA GLOBALIZZAZIONE

Venezuela tra fake news e disinformazione. Obiettivo? Distruggere un’idea di successo antitetica al fenomeno della globalizzazione

Da un mese e mezzo la grande stampa internazionale si è accorta del Venezuela. Quando i risultati delle missioni bolivariane intraprese da Hugo Chavez portavano fuori da fame, povertà e analfabetismo la nazione sudamericana non c’era spazio per applaudire un sistema di governo diverso dall’imperante neoliberismo tanto più in un luogo del mondo così vicino agli Stati Uniti. In particolare un giro di rassegna stampa sul tema mi ha fatto imbattere in un articolo del giornale, sull’orlo del fallimento, di Confindustria. Non contenti di speculare sulla grave crisi che imperversa nello Stato sudamericano, oggi i media provano a riscrivere la storia alzando l’asticella e scomodando il comandante Chavez per una reductio ad Hitlerum dello stesso. A quanto si legge il Venezuela non sarebbe in crisi da alcuni anni ma addirittura da metà insediamento di Hugo Chavez.

L’obiettivo è chiaro: distruggere un’idea di successo antitetica al fenomeno della globalizzazione. Il populismo di cui si fa un gran parlare in Europa continentale e nel mondo anglo-sassone ha precedenti illustri nel continente latino-americano e in Sudamerica ha superato anche la prova di governo. E’ forse questo il motivo per cui è necessario riscrivere la storia più recente di questi paesi?

Tra le principali omissioni dell’articolo sopra citato ne risaltano almeno tre a cui bisogna poi aggiungere un altro dato di estrema importanza, ma procediamo seguendo un ordine cronologico degli eventi. Nel dicembre 2002 un lungo sciopero di alcuni dipendenti della PDVSA (l’industria petrolifera di Stato venezuelana) comportò il licenziamento di 19 000 persone. Quello che viene omesso è il clima in cui tutto questo avvenne. Lo sciopero, avvenuto nel dicembre 2002, seguì di pochi mesi quello che viene riconosciuto come l’ultimo tentativo di colpo di stato messo in atto in una nazione sudamericana. Nell’aprile dello stesso anno, infatti, uno sciopero congiunto di sindacato e Fedecameras (la Confindustria venezuelana) unite, per l’occasione, a settori dell’esercito portò alla temporanea destituzione di Chavez, reinsediatosi dopo pochi giorni grazie alla grande mobilitazione popolare a suo sostegno. Unici Stati ad affrettarsi a riconoscere il leader di Fedecámeras Pedro Carmona Estanga come nuovo presidente furono la Spagna, governata dal Partito popolare di Aznar, e gli Stati Uniti di George W. Bush. Lo sciopero di dicembre non fu nient’altro che una serrata col vano tentativo di costringere Chavez alle dimissioni in una nazione che dal 1998 al 2013, anno della prematura scomparsa, ha visto il leader bolivariano trionfare in tutte le elezioni eccetto il referendum costituzionale del 2007.

Viene poi messo in discussione l’esproprio, o meglio la nazionalizzazione, degli idrocarburi citando la nota multinazionale ExxonMobil artefice di un arbitrato internazionale, quelli che potremmo iniziare a conoscere anche noi tramite il Ttip e il suo cavallo di troia canadese, il Ceta, contro lo stesso Venezuela. La contesa tra lo stato bolivariano e la multinazionale americana riguarda la regione di Esequibo, una vasta area al confine con la Guyana, in cui ci sarebbero ingenti risorse petrolifere. Ma, anche in questo caso, nessun parallelismo viene tracciato tra l’amministratore delegato di ExxonMobil del luglio 2015, in cui si è aperto il contenzioso, e il suo nuovo ruolo di segretario di Stato statunitense dato che si tratta di Rex Tillerson. Ma veniamo ai riconoscimenti internazionali che scagionano da ogni ipotesi di fallimento il socialismo del XXI secolo bolivariano. Tra le tante missioni bolivariane citiamo la Misión Robinson che ha certificato lo status di “nazione libera dall’analfabetismo” raggiungendo, già nell’ottobre 2005, il 98% di alfabetizzazione.

Il dato più rilevante che bolla come fake news l’intero castello di carte messo in piedi contro il chavismo è il premio che la FAO ha consegnato appena due anni fa a Maduro per aver ridotto drasticamente il numero di persone malnutrite e sconfitto la fame nel paese. I dati precedenti all’insediamento al governo di Hugo Chavez indicavano il 13,8% dei venezuelani non in grado di avere una capacità di indipendenza alimentare, mentre l’Indice Globale della Fame nel 2015 riportava questo dato al suo minimo storico, pari al 2,4%, che la FAO sia diventata uno strumento nelle mani dei governi socialisti? Allora citiamo il Fondo Monetario Internazionale, questo sicuramente di tutt’altro stampo economico, che ha riconosciuto come un vero e proprio modello la vicina Bolivia artefice della cosiddetta Evonomics, dal nome del presidente socialista Evo Morales, in grado di contenere l’inflazione e conservare la quantità di riserve monetarie più alta al mondo in rapporto alla grandezza del Pil.

Ci chiediamo, inoltre, perché mai il Movimento 5 stelle in Italia piuttosto che Podemos in Spagna o Jean-Luc Mélenchon in Francia dovrebbero condannare l’operato di un governo che è vittima, e non artefice, delle violenze di piazza organizzate dalla coalizione antichavista della Mesa de la Unidad Democrática (Tavola dell’unità democratica). Sono, piuttosto, quegli esponenti politici con incarichi di rappresentanza quali la presidenza della Commissione Affari Esteri e Comunitari del Senato che, recatisi recentemente ad incontrare le frange più violente dell’opposizione per poi proporre una mozione di ingerenza negli affari di un altro Stato, dovrebbero scusarsi nel momento in cui vengono certificate le violenze e gli omicidi di manifestanti tutt’altro che pacifici. Vogliamo citare solamente il caso più eclatante, quello di Juan Bautista Lopez Manjarres, giovane dirigente studentesco chavista assassinato dall’opposizione e per molti giorni ucciso una seconda volta dalla stampa internazionale che non si è degnata nemmeno di guardare il suo profilo fb in cui aveva una foto con Hugo Chavez per dipingerlo come uno dei principali attivisti anti-Maduro.

In Venezuela è in atto una guerra per procura che rischia di degenerare in una guerra civile e la stessa opposizione che chiedeva elezioni immediate rifiuta la convocazione di una nuova Assemblea Costituente e l’opera di dialogo di Papa Francesco.

Luca Lezzi*

 

*Luca Lezzi è coautore del libro Il socialismo del XXI secolo, edito dal Circolo Proudhon

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