BELLO IL BAUHAUS, MA L’EUR… CHE FIGATA!
E Majakovski vale dieci Woolfe
Negli orecchi i frantumi di un accaldato ballo
e dal Nord – più canuta della neve- una nebbia
dal volto di cannibale assetato di sangue
masticava gli insipidi passanti.
Le ore incombevano come un volgare insulto,
incombono le cinque e sono poi
le sei – ci sta a guardare dal cielo una canaglia
maestosamente come un Lev Tolstoj.
È nelle arti figurative che questi due totalitarismi statali di matrice rivoluzionaria, apparentemente agli antipodi, mostrano un’ontologica somiglianza: il Futurismo, che prese vita a Parigi nel 1909 con il noto manifesto letterario di Filippo Tommaso Marinetti e con Il manifesto della pittura futurista, redatto da Umberto Boccioni e firmato da G.Balla, C.Carrà, L.Russolo e da G.Severini, è un movimento molto simile, sia nelle forme che nell’intento politico, al Raggismo sorto in Russia nel 1913 grazie a Larianov ed N.Gonciarova. Dopo un primo periodo cubo-futurista l’avanguardia sovietica, agitata dalla rivoluzione imperante (in seguito ad una fase in cui le figure vennero degradate a simboli ridotti all’osso, denominata suprematista) diviene mera propaganda rivoluzionaria guidata dal poeta sovversivo Maiakovskij col nome di Costruttivismo.
Il futurismo italiano, che “esaltava la vita odierna, incessantemente e tumultuosamente trasformata dalla scienza vittoriosa”, nel suo anelare alla velocità ed alle nuove tecnologie, non faceva mistero di apprezzare l’industria bellica e la guerra, “sola igiene del mondo”. Allo stesso modo, anche le tele e le poesie russe, con toni che oscillano tra il minaccioso ed il dolce sogno utopista, furono vere e proprie chiamate alle armi, partorite dagli artisti anzichè dalla casta dei politici. In ambo i casi, l’arte, oramai totalmente orfana della ricerca dell’ideale e del bello tipico dello spirito romantico, ebbe un ruolo fondamentale nel preparare psicologicamente i popoli al colpo di Stato: violenza, ferite, esplosioni, schegge, colori acidi, strappi,ombre cupe, frenesia ed engoscia delirante (ed a tratti esilarante): gli artisti raggisti e futuristi furono i profeti delle dittature statali che erano in procinto di sorgere.
Un anno dopo la morte in battaglia di Umberto Boccioni (1916), i socialrivoluzionari sovietici, mossi da ideali anti-zaristi ed infervorati dalle nuove arti rivoluzionarie, s’appressavano a rovesciare il regime di Pietrogrado per inaugurare un nuovo governo bolscevico voluto da Lenin. Allo stesso modo nel 1922 i rivoluzionari socialisti italiani, assediando Roma al ritmo dei canti e slogan futuristi quali “Marciare per non marcire”, riuscirono ad aprire la strada al nuovo governo fascista voluto da Mussolini. Come desiderato dalle avanguardie artistiche, vinsero in entrambi i casi i rivoluzionari, per lasciar poi spazio ad un nuovo periodo di quiete rappresentato dall’Arte Littoria, in ritardo, e dal realismo sovietico in Russia, di nuovo incredibilmente simili.
Nel proiettare le masse proletarie verso il nuovo avvenire, da conquistare per mezzo della Rivoluzione, futurismo fascista e costruttivismo comunista ebbero un ruolo fondamentale ed ora, col senno di poi, si comprende che l’arte, a guisa d’una sibilla, poteva esser letta per tentare d’interpretare il futuro. Colori cupi alternati a graffi di tonalità acide, tratti decisi e tele quasi lacerate dalla violenza degli artisti: come afferma lo psicanalista Jung, l’inconscio collettivo dei periodi pre-rivoluzionari genera opere d’arte che ben illustrano l’irrequietezza che agita gli animi del popolo.
Oggi, di fronte alle creazioni intangibili dell’arte concettuale, osservando le veloci performances dell’arte povera (creata per essere distrutta, come i mandala di sabbia dei monaci buddisti) ed i rapidi blitz di land art momentanea non resta che chiedersi cosa ci vogliano dire a riguardo del nostro futuro gli artisti, che paiono temere l’eterno più di qualsiasi altra cosa.
L. J. T.
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