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LA COSA PIÚ EROTICA CHE POSSIATE FARE È APRIRE LA BOCCA AL LEONE

Una storia di sesso, filosofi e frati evirati

“Non lo fò per piacer mio, ma per dare figli a Dio”. Questo aforisma, dal sapore tutto italiano, veniva ricamato sulle camice da notte delle nostre trisnonne prima di compiere l’atto della “defloratio”. Tale inquietante scritta, che trasuda frigidità ma al contempo possiede un retrogusto squisitamente perverso che solo gli hipster ed i cultori del vintage possono apprezzare,  insegna che più di un secolo fa il sesso aveva (in pubblico) una sola ed unica funzione: procreare e preservare la specie.

A quei tempi, in cui la doccia non esisteva e le case piombavano nel buio con l’imbrunire, l’umanità, volente o nolente, aveva un rapporto radicalmente differente con la sessualità: “sesso”, allora, faceva rima con “eccesso” e non con “successo”, come oggidì, e per secoli i clerici vagantes si scannavano coi frati per capire dove fosse il limite tra amore e peccato. Pietro Abelardo, evirato in tempi medievali giacchè solito sollazzarsi con Eloisa, con i suoi testi ha inaugurato una vero e proprio filone di studi teologici inerente al rapporto tra sesso, volontà, peccato ed amore.

Forse,  sotto al “timor di dio”, filo nero che cuciva le mutande alla pelle delle giovani pulzelle, si nascondeva in realtà la consapevolezza che il sesso potesse essere veicolo di sifilide ed altre malattie allora tragicamente incurabili. Dietro all’esasperato pudore delle middleclass miladies vittoriane (che quando mangiavano del pollo non potevano chiedere “la coscia”, siccome quel vocabolo era veicolo di chissà quali fantasie erotiche) vi erano, svolgendo un’interpretazione antropologica molto sommaria, tre elementi:  un po’ di sano timor di dio, un po’ di inconsapevole fobia delle malattie sessualmente trasmissibili e, soprattutto, il bisogno di affermare la propria classe sociale, ben distinta da quella delle zozzone che nei quartieri squallidi di Londra esasperavano il sesso a pagamento. Le orge ed i festini migliori, che avevano luogo presso la più illustri nobiltà europee, erano – come ci ricordano il buon vecchio de Sade o quel pervertito d’un Mozart, gratis.

Oggi, Mozart, gran maestro della massoneria che nelle sue lettere d’Amore scriveva cose così perverse da non essere riferibili in questa sede, è stato sostituito da Fedez: il venticinquenne tatuato è, oggettivamente, bravo ad esprimere nelle sue opere, mediante esasperate rime e rozze figure retoriche, un malessere sociale in cui la maggior parte delle popolazione si rispecchia. Lui è – più o meno consapevolmente – il ragazzo nichilista che, trovandosi in una situazione di privazione dei valori fondamentali (patria, famiglia e Dio) è riuscito a ricostruirsi e ritrovare la “felicità”. Fedez, straniero in patria – si sente tradito dalle istituzioni –, disilluso nell’idea di famiglia e costretto a rinnegare Dio per poter giustificare il male nel mondo, è il figlio della post-modernità: il seducente Übermensch nietzscheano intriso – a modo suo – di Voluntas e pubblicità è, di fatto, l’uomo  privato dei valori fondamentali che s’è poi riassemblato come una sorta di self-made Frankenstein, composto da una pluralità di nuove ideologie.

Per approfondimenti su sesso e pornografia, consigliamo la lettura de "L'ideologia del godimento"

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Tuttavia, in parallelo alla cultura popolare, che si è rassegnata ad accettare un amore sterile, usa-e-getta, vi è anche la filosofia post-moderna: in Italia tra gli intellettuali che più incidono sul panorama del “porno” e del post-moderno vi è Simone Regazzoni, che l’anno scorso durante al festival Pop-Sophia si è ferocemente scontrato in dibattito con Diego Fusaro, disquisendo su Democrazia e su

Wile Coyote. Nonostante l’interesse  filosofico per il porno, a quanto dicono i pettegolezzi (l’antropologo Robert Dunbar ne è il massimo esperto mondiale) il professor Regazzoni è lietamente monogamo, fedele e persino padre. Sarà forse l’eccezione che conferma la regola secondo cui il porno distrugge il potenziale riproduttivo del genere umano?

Qui un estratto del suo saggio, editto nel 2010 dall’edizione “ Ponte Alle Grazie”.

Dare il benvenuto al pop-porno significa legittimare filosoficamente il pop-porno rompendo, fin da subito, con la regola non scritta che, in democrazia, vorrebbe relegare il pop-porno a osceno segreto provato di cui non si può parlare pubblicamente se non male

L. T.

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