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FORSE, ALLA BASE, C’È UN PROBLEMA DI IPOCRISIA

Perchè se i membri sudisti del Partito Democratico erano affiliati del Ku Klux Klan, un po' temo le dita perentorie del PD nostrano

Il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto, l’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto.

Così cantava Francesco Guccini, riferendosi al moralismo superficiale e bugiardo tipico della categoria antropologica dei cosiddetti “benpensanti”. Ebbene, questi sono i versi che continuano a tornare alla mente in questi giorni di esplosione del fenomeno Salvini, in cui la tematica immigrazione è tornata alla ribalta nel dibattito politico nazionale.

A fronte di una certa strumentalizzazione, paradossale soprattutto se attuata da partiti come FI o NCD, stiamo assistendo all’ennesimo tentativo da parte di una certa classe giornalistica e politica di giocare alla demonizzazione dell’avversario. Dal tepore dei salotti bene, giungono, in queste giornate di rabbia popolare ed acutizzazione delle contraddizioni sociali, continui richiami al pericolo razzismo, imposizioni di etichette e categorizzazioni volte a screditare l’avversario. Affermare che Mare Nostrum e l’immigrazione incontrollata stiano aggravando situazioni sociali precarie, già colpite dalla crisi economica, è diventato razzista; dire che una famiglia italiana rimasta senza abitazione, che vive sul territorio da generazioni – e ha dunque contribuito nella storia alla crescita di quel territorio e della sua identità – debba avere la precedenza nell’assegnazione delle case popolari rispetto a chi vi è arrivato il giorno prima è avere un’ideologia degna dell’apartheid.

Oggi il termine razzista è in questo senso quanto di più squalificante possa esistere, basti pensare alla formula rituale che ciascuno deve recitare prima di poter aprire la bocca sul tema immigrazione: “Io non sono razzista, ma…”, “Noi non siamo fascisti, ma…” etc. Ecco quindi che la strada più facile per chiudere la discussione con chi si oppone alle attuali, deleterie, politiche sull’immigrazione, diventa bollarlo e squalificarlo. Una strategia che agisce in un duplice senso: anzitutto serve a far apparire l’interlocutore come un troglodita, uno che attribuisce al singolo immigrato la causa di tutti i mali del paese; secondariamente per giustificare, più o meno velatamente, ogni aggressione di cui possa essere fatto oggetto in un secondo momento. Per la serie: “Beh, certo, è stato aggredito, ma d’altronde predica il male assoluto…un po’ doveva aspettarselo” Già, peccato solo che l’etichetta di razzista sei stato tu a dargliela. Improvvisamente qualsiasi azione, gesto o parola, – finanche la stessa presenza fisica – si trasformano in potenziali strumenti di “provocazione”, secondo una distorsione logica veramente da manuale.

L’esperienza degli anni ’70 dovrebbe averci insegnato a cosa porta la giustificazione unilaterale della violenza, quella per cui “uccidere un fascista non è reato” e per cui i brigatisti erano “compagni che sbagliano”, ma pare proprio che per alcuni la demonizzazione non passi mai di moda. L’anno passato due militanti di Alba D’oro, Manolis Kapellonis e Yorgos Fundulis, sono stati giustiziati a sangue freddo sotto la sede del loro partito: sono stati dipinti come mostri assetati di sangue, che infondo se l’erano andata a cercare, se non addirittura meritata, questa giustizia in punta di mitraglietta Skorpion. Successivamente è emerso che si trattava di due ragazzi impegnati nel sociale (qui una delle due bestie neonaziste è ripreso assieme ad una vittima dei suoi ideali di sistematica sopraffazione del più debole), persone senza precedenti che avevano l’unica colpa di combattere per il loro ideale di Grecia.

Ci auguriamo che quel tempo in Italia sia passato, ma alcuni sintomi si stanno facendo preoccupanti: ci sarebbe da chiedersi chi veramente stia alzando la tensione, se coloro che denunciano l’insostenibilità della situazione attuale, della palese incapacità di fornire strutture adeguate all’integrazione di determinati numeri, o chi continua imperterrito per la sua strada, con la coscienza pulita di essere dalla parte dei buoni, di quelli che aiutano l’umanità tutta (sempre da una comoda poltrona, si intende).

L’altra sera sono intervenuto alla Gabbia proprio per denunciare la deriva dialettica messa in atto da personaggi di questo genere, i quali stavano mettendo in bocca ai loro avversari parole non dette, o fraintendimenti intenzionali. Mi auguro di aver dato un contributo, anche se modesto, a rimettere la discussione sui giusti binari, quelli che rifiutano la scomunica e la criminalizzazione dell’interlocutore.

Daniele Frisio

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