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LA GUERRA È POESIA

Eccheccazzo

La guerra è poesia ed il trucidare l’avversario in nome della filantropia è sempre degno d’elogio e di parole piacevoli. L’altro giorno sulla prima pagina del Corriere della Sera, sopra ad un articolo carico di pathos, v’era esposto il titolo L’angelo di Kobane, riferendosi ad una bella soldatessa che ha massacrato centinaia di jihadisti. Non è forse poesia tragica allo stato puro?
La guerra, combattuta per amore dei propri simili, in virtù del suo essere così densa di emozioni e di ideali, può sublimarsi a momento mistico. A guisa della contemplazione della natura o della più nobile ricerca spirituale, il conflitto armato può, quindi, diventar oggetto di Poesia. Che la guerra sia necessaria al progredire della storia ben ce lo dice Hegel, e che un po’ di sana violenza debba assurge al ruolo di redentrice dei nostri peccati lo afferma anche George Sorel. In Riflessioni sulla violenza l’autore, cresciuto a pane, anarchismo e sindacalismo, insegna che «la vita è lotta, sacrificio, conquista, un continuo ‘superare se stessi’» E quindi, cosa, come la guerra, può assurgere al meglio a metafora della vita?
Agli albori del secolo passato l’élite degli intellettuale futuristi, ne Il manifesto, esortava all’imbracciar le armi, in quanto i conflitti sono “la sola igiene del mondo”. Filippo Tommaso Marinetti ed Umberto Boccioni , giocolieri della parola ed equilibristi tra le arti, furono i massimi esponenti del movimento interventista che appunto vedeva nell’azione bellica un’opera purificatrice, catartica. L’amore ancestrale degli artisti, inebriati dal piacere del sangue versato dai cuori ardenti, nel trattare i conflitti armati non può essere datato. Infatti, le pitture rupestri dei  cavernicoli che raffigurano uomini con lance intenti in scontri contro ai mammut, cosa vogliono esprimere se non la passione per la più atavica fra tutte le guerre, ossia quella tra l’Homo e la Natura?
Che la natura umana sia un armonioso connubio tra Eros e Polemos ce lo insegnano anche gli antichi filosofi della Magna Grecia, da  Empedocle ad Aristotele. Ma, al di là della giustificazione filosofica della guerra in quanto atto necessario alla dialettica della storia – ed alla formazione del singolo individuo implicatovi – ciò che maggiormente solca gli animi più sensibili e predisposti al percepir anche le minime sfumature del Creato è la Poesia che ne deriva. Baciate dalla violenza, le sue poesie sono pura bellezza. Militia, di Léon de Grelle, è un testo che potrebbe esser definito una cascata di pietre preziose e di pensieri lasciati fluire liberamente, perchè, nonostante sia vergato prosa, a tratti si avvicina molto alla poesia. L’autore, soldato e politico dal petto adorno di medaglie al valore, illustra come sia proprio l’atto del far fatica del guerriero a rendere liberi. Con un retrogusto deliziosamente kantiano, questo breve ed intenso capolavoro – una vera Blietzkrieg filosofica- esalta la guerra come apoteosi della Volontà sul bisogno fisico, e perciò palco su cui ha luogo la Libertà. Perchè, in una visione ascetica e mistica, la Libertà consiste proprio nel far prevalere il senso del dovere, ossia la Ratio, su quelle che sono le debolezze della carne. È il concetto della Libertà ricavata dal far fatica, che in tedesco è traducibile con l’Arbeit macht Frei d’origine calvinista. Tale motto, al di là dell’uso improprio che se ne fece nei lager, è accusato d’esser stato il padre morale del Capitalismo. Esattamente lo stesso concetto traspare dal vortice d’immagini che è Nelle Tempeste di Acciaio di Ernst Jünger. Anche lui soldato battezzato col sangue dell’avversario, giunge a suonare le più sublimi note della Libertà Interiore proprio quando si trova rannicchiato nella trincea di guerra, tra il fango ghiacciato e le membra sparse dei militi ignoti.
La guerra, sia che essa sia esortata, elogiata, criticata o rimpianta, non può non essere citata dalle più illustri penne della storia. Lo scorso secolo con Ungaretti, D’Annunzio, Pound, Wilfred Owen – erede d Sasson – e quant’altri, le vicende belliche hanno arroventato stormi immensi di libri di poesie, ma quella dell’amplesso tra metrica e scontri armati è una tradizione millenaria. Già nele chansons de gestes medievali il lettore era accompagnato all’immedesimarsi nei più nobili e valorosi cavalieri. Ed anche con Bernardo di Chiaravalle, che spingeva alla Crociate, le rime e le armi si incrociavano continuamente. Ben lo esemplifica pure Dante, che di certo non stava quieto e muto assistendo alle battaglie tra Guelfi e Ghibellini. Di quegli anni, e suo conterraneo, era anche Cecco Angiolieri, poeta e scrittore che consacrò la sua esistenza e la sua poesia al filo della spada. Una vita dedita al Sangue ed all’Inchiostro, non può che suscitare stima ed ammirazione.
Oggigiorno, le piccole perle aforistiche de L’arte della Guerra di Sun Tzu sono state sostituiti da mattoni da centinaia di pagine che si avvalgono della biologia e della fisica quantistica per esporre la teoria del Caos in relazione alle strategie belliche di quarta generazione, come lo splendido saggio L’arte della Guerra di Boyd, scritto da Osinga. Attualmente, ahimé, la cultura di massa, ha perso la capacità di sintetizzare le passioni della guerra nella poesia. I commoventi haiku dei kamikaze giapponesi che nel 1944, per salvare le loro Isole Filippine, si facevano volar in cielo a brandelli come petali di ciliegio, oggi hanno smesso di impressionare.In parallelo allo smarrimento dell’interesse per la poesia, è venuta meno anche la capacità eseguire quel processo alchemico che sublima il piombo delle armi nell’oro dell’ispirazione artistica. La guerra, oltre che oggetto da contemplare , vivere e combattere, è anche creatrice di profonde riflessioni filosofiche e teologiche. Qualcuno, infatti, disse che non esistono uomini atei al fronte…

Accecati dai videogiochi, dalla guerra finta dei film di Hollywood, dai giornali che ne illustrano solo le dinamiche geo-politiche e dagli ipocriti pacifisti che la denigrano gratuitamente, per tanti decenni s’è persa la volontà di apprezzarla. Ma ora, finalmente, in vista d’un incrementarsi dei microconflitti su scala globale, quel dolce “ Io canto l’Arme” di Torquato Tasso tornerà a fecondare i testi poetici.
Liliane Tami

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