Polonia, mia dolce colonia (e invece no: Ucraina!)
Ero seduto lì, sul divano, a fumare la pipa, leggere il giornale e godere delle fusa del gatto, quando, ad un tratto, mi sono domandato se non stessi per caso buttando via la mia vita. Poi ho pensato a quello che fa il resto del “consorzio civile produttivo” – aka voi -, ossia una serie di attività rigorosamente dicotomizzabili quali sveglia e caffè / barba e bidet / l’utilitaria la compro a rate e per l’estate mi faccio un vestito blu, allora ho capito che, no, vivere di rendite, seppur modestamente, con un gatto atarassico e una pipa carica, non è sprecare la propria esistenza.
Non più di lavorare in banca.
Perchè, alla fine, di questo trend già ci aveva avvertito Nietsche (cfr Die fröhliche Wissenschaft), ma qui è un continuo farsi abbindolare da valori fallaci quali la dimensione temporale della coerenza e la grazia nobilitante del lavoro, malgrado questo concetto fosse esposto chiaramente sul cancello della Foxconn del Terzo Reich (che era il Male Assoluto).
Poi, dalle colonne del quotidiano, la soluzione: invadere la Crimea (o annetterla all’Eurosiberia tramite il più pulito strumento dell’Anschluss) può essere occasione di un riscatto esistenziale per molti giovani sdraiati sul divano col gatto.
Naturalmente, non è il mio caso: mi faccio arrivare il giornale a casa proprio per non dovermi scomodare fino all’edicola, col cavolo che guido per tremila chilometri al solo scopo di aiutare persone che non conosco e di cui non parlo la lingua (non sono mica Lord Byron).
Eppure, mi brillavano gli occhi alla vista delle immagini di Kiev: insomma, mica da tutti mollare mogli e figli per andare a tirar sassi contro la polizia e un governo corrotto (anche se, poi, la Tymošenko, boh, valli a capire). A maggior ragione ho avuto le farfalle allo stomaco quando in Crimea è nata la controprotesta: in quel caso, oltre al fascino bakuniano della rivolta (e a quello rothiano della ribellione), c’è anche il sentimento di un popolo che lotta per la propria autonomia e per le proprie radici (russe).
Lì, i civili aiutano i militari russi a presidiare gli aeroporti. Qui, la gente se ne sta sul divano con un fornelletto ardente in una mano e una matita da sette euro nell’altra. Ma in linea col neo-ministro degli esteri ucraino che “tuona su Facebook” (mioddio, “tuonare su Facebook”) che quella russa è un’invasione.
E sticazzi.
Walter Quadrini
Rispondi