L’uomo ama le cifre. E ignora l’essenziale
I grandi amano le cifre. Quando voi gli parlate di un nuovo amico, mai si interessano alle cose essenziali. Non si domandano mai: «Qual è il tono della sua voce? Quali sono i suoi giochi preferiti? Fa collezione di farfalle?» Ma vi domandano: «Che età ha? Quanti fratelli? Quanto pesa? Quanto guadagna suo padre?» Allora soltanto credono di conoscerlo.
(Il piccolo principe – Antoine de Saint-Exupéry)
Gli uomini amano le cifre. Statistiche, classifiche, diagrammi, percentuali. Quantificare è l’azione prediletta dall’uomo. Persino al benessere delle persone hanno dovuto affibbiare un indicatore (il PIL). L’uomo non ce la fa a muover passo, senza prima un numero. L’Occidente è basato tutto sui numeri, sulle quantità, sui pesi, sulle misure. E’ indispensabile per ogni decisione razionale, ci dicono. E l’economia si fonda proprio sull’assunto che l’individuo sia razionale (convinti loro…).
Gli uomini non si interessano alle cose essenziali. Snocciolano domande complesse e producono dati a catinelle, tanto basta. Si aggrovigliano per capire a che livello sia lo spread, ma non si domandano se sia sensato chiederselo, a che livello sia uno spread; o se sia più sensato farsi prima altre domande, magari semplici ma essenziali. Gli uomini danno per scontate le cose semplici, e se le perdono. E’ il materialismo della conoscenza. Quello che denuncia il povero, piccolo principe. Che attanaglia la politica, la società civile, ma anche e soprattutto la vita privata di ognuno. La libertà è data dalla possibilità di scegliere la cosa giusta; la possibilità di scegliere la cosa giusta è data dalla conoscenza delle alternative. La libertà sta nella conoscenza. Tutto ruota attorno al metodo che si usa per conoscere, e per conoscersi.
Ma quanto conosciamo le cose che ci circondano, di cui parliamo, scontato non è. Prendiamo i concetti base per dati di fatto, senza chiederci il perchè delle cose, e su di essi costruiamo castelli. Di sabbia. Ancora meno scontato è quanto conosciamo le persone che ci circondano, con cui passiamo il nostro tempo. Colleghi, vicini, amici, parenti. Scegliamo il partner preoccupandoci di quanti anni abbia, quanto sia alto, magro, ricco, di come sia la sua auto e di che lavoro faccia. Che cartà fedeltà possiede? Meglio se si possono unire i punti premio, così ottimizziamo. Devi uscire con amici di buona famiglia… “Che lavoro fanno i suoi genitori? Dove abita? Va bene a scuola?”.
La nostra società non è comunità, è somma di singoli che si stanno vicini, che percorrono binari paralleli. Senza però arrivare a toccarsi perchè, si sa, due rette parallele non si incontrano mai. La nostra società, sia quella macro sia quella micro, è un’aggregazione di vite che si salutano in superficie senza mai sforzarsi di annusarsi, di conoscersi, di sbucciarsi. Che stanno una accanto all’altra per abitudine, non per unione di intenti. Il colore preferito di chi ci circonda durante il giorno probabilmente lo ignoriamo. Chissà se a casa ha una collezione di farfalle? Boh. Ma sappiamo vita, morte e miracoli delle sue vicende lavorative. E capita di condividere con una persona casa e conto in banca, senza preoccuparsi del fatto che i sogni, gli obbiettivi e i modi di concepire la vita siano o meno allineati. Si passa il tempo ad incastrare i rispettivi beni materiali, dimenticandosi che ad incastrare devono essere i rispettivi spiriti. E poi divorzi a gò gò. I matrimoni diventano contratti. Le comunità, società individualiste.
Eppure, da qualche parte nel mondo, c’è un popolo che vive senza numeri. In Brasile, una tribù di indigeni dell’Amazzonia – i Piraha – di cifre non ne vuol proprio sentire parlare. Tre grandezze gli bastano e avanzano (omne trinum est perfectum). Ci hanno provato, i nostri occidentali, a fargli imparare i numeri, ma non gliene frega proprio nulla. Neppure di parole ne hanno molte, basano tutto sui toni… eh già, le tonalità della voce, come dice il povero, piccolo principe. Così, si sono auto-costretti a conoscersi. E sono diventati una tribù. Che fa rima con comunità, unione di intenti. Mettiamo insieme le nostre menti e vediamo quali vite riusciamo a costruire per i nostri figli, diceva Toro Seduto.
Vincenzo Sofo
Rispondi