L’aborto: involuzione eugenetica della specie
Negli anni ’70 in tutto il mondo occidentale si è levato il grido indignato delle associazioni femministe e delle associazioni di sinistra riguardo a uno dei temi più caldi della società moderna: l’aborto. A suon di slogan (vedi “L’utero è mio e lo gestisco io!”) le donne delle associazioni pro-choice hanno iniziato a guadagnare terreno partendo dalla nazione più moderna, l’America, in cui scoppiò una vera e propria battaglia con le associazioni pro-life.
Così sono state abrogate le leggi che prevedevano sanzioni gravi per la donna e per il medico conducenti un aborto; così la parola “aborto” è stata sostiuita dal più politically correct “interruzione volontaria della gravidanza” (abbreviata come IVG), così in tutto il mondo si sono potuti compiere migliaia di aborti alla luce del sole e nelle strutture adeguate. Un grande passo avanti se si pensa che lo Stato in questo modo si propone di tutelare sia la madre che il concepito: la prima attraverso strutture adeguate trova l’appoggio di medici competenti anziché compiere un aborto clandestino; il secondo viene tutelato perché l’IVG viene compiuta entro i primi novanta giorni di gestazione e solo nei casi in cui la gravidanza presenta un vero pericolo per il benessere psico-fisico della madre. Insomma stiamo parlando di un vero riscatto sociale, una rivendicazione profonda del ruolo della donna, un progresso in quanto la donna sceglie quando e soprattutto se diventare madre!
Ma siamo davvero sicuri che l’“interruzione volontaria della gravidanza”, come piace chiamare l’aborto ai radicali, sia un vero e proprio riscatto sociale?
Infatti è già stato ampiamente documentato come gli aborti clandestini avvengano tuttora, come nei consultori non venga seguita la madre nel modo in cui regolamentato dalla legge 194/78 e soprattutto come non vi sia alcuna struttura pubblica che assista o metta a conoscenza la madre della sindrome post-aborto, tuttora non riconosciuta dalle comunità mediche che però comporta uno stato depressivo e una grande difficoltà nel portare a termine le successive gravidanze.
D’altronde qualcuno potrebbe obiettare che in fondo si sta parlando di un ammasso di cellule e nulla più, che se una sedicenne rimane incinta ha tutto il diritto di non rovinarsi la vita, che in fondo ogni donna è un po’ libera di fare ciò che vuole nel 2013. Eppure non riesco a giustificare l’aborto come prima scelta. Innanzitutto – è vero – parliamo di un ammasso di cellulle, ma in quelle cellule microscopiche è contenuto un DNA, è contenuto un set di istruzioni e informazioni che determinano chi siamo in ogni nostra accezione e che non possiamo ottenere in nessun altro momento della nostra vita se non durante il nostro concepimento. Insomma biologicamente parlando questa è vita.
In secondo luogo quello che fa accapponare la pelle è la strumentalizzazione di questa pratica da parte degli stati moderni. Non parliamo dei paesi come la Cina in cui è utilizzato per regolamentare le nascite e non parliamo neanche dell’URSS dove le atlete rimaste gravide venivano fatte abortire in modo da poter gareggiare con un tasso di ormoni nel sangue raddoppiato. Non citiamo neanche l’India dove vengono selezionati i nascituri di sesso maschile per poter garantire alla famiglia la dovuta stabilità. Parliamo invece della “clinica degli orrori” di Roma dove nel 2000 venivano eseguiti nel cuore della notte aborti al sesto mese di gravidanza e di cui un infermiere al Corriere della Sera racconta: “Vidi un feto di 25 centimetri, con gambe e braccia già formate, finire nel rubinetto tritatutto”. Parliamo di una nazione evoluta come la Danimarca che a suon di campagne e slogan spinge nel portare avanti l’eugenetica, prevedendo di diventare la prima nazione ad essere “Down Syndrome Free”.
Evoluto significa “riferito a persona, a popolo, a classe di cittadini e simili, che ha raggiunto un alto grado di maturità civile e sociale, quindi progredito, moderno”. La maturità civile e sociale è l’atto di coscienza da parte di uno Stato dei problemi più gravi che affliggono le persone, delle soluzioni volte a risolverli, della prevenzione volta a conoscerli e delle leggi volte a difendere la vita.
Allora siamo davvero sicuri che progresso faccia rima con società evoluta?
Monica Montuori
Rispondi