Nel nocciolo del mondo (parte 2)
di Daniel Zarpellon
Anche se la tradizione che voleva gli Iperborei radicati nell’estremo nord del pianeta era quella più gettonata dagli storici antichi, non mancavano in epoca classica alcune teorie suggestive ed alternative che, essendo ancora più paradossali della versione ufficiale, non venivano nemmeno prese in considerazione. Così, spesso ci si dimentica, o non si concede la giusta importanza, al come il buon Plinio termina il suo racconto:
< Alcuni autori collocano gli Iperborei nella zona costiera dell’Asia più lontana da noi, invece che in Europa, perché li, simile anche per posizione geografica, vive il popolo che ha nome Attacori. Altri li vogliono a metà strada tra i due Soli, quello che tramonta agli antipodi e quello che sorge per noi, ma ciò è impossibile nel modo più assoluto; un’enorme distesa di mare si frappone > (Plinio il Giovane, Storia Naturale).
Queste ultime ipotesi, che non devono avere goduto di molti consensi nell’antichità, non sono state ponderate attentamente nemmeno dagli storici moderni. D’altra parte, come possiamo biasimare gli studiosi, quando è lo stesso Plinio a ritenerle assurde? Purtroppo, ancora una volta ci si dimentica che ogni ipotesi deve essere vagliata a fondo prima di venire scartata, soprattutto quando non vi è alcuna alternativa accettabile. Naturalmente, nel sentire parlare di due Soli bisogna drizzare subito le antenne, perché qualche pitagorico potrebbe essere rientrato nel novero degli informatori di Plinio. Dove poteva trovarsi una terra “anti-stante” la Celtica; posta “a metà strada tra due Soli”; “in disparte” dagli esseri umani e con un clima felicemente temperato?
Mi rendo conto che non sembra esistere alcuna risposta sensata a questa domanda, ma l’idea che possano esistere delle zone cave dentro il nostro pianeta ci permette di chiarire questa intricata situazione. Gli antichi Greci, d’altra parte, erano coscienti del fatto che gli Iperborei abitavano “oltre” il mondo conosciuto, ma, allo stesso tempo, era ben chiaro che la loro terra era “reale” e a ridosso del pianeta, non in qualche punto sperduto dell’universo.
A questa consapevolezza, si aggiungeva poi un evidente dato di fatto: sulla superficie della terra esisteva un unico Sole! Ciò significa che, per ammettere l’esistenza di due Soli, bisogna immaginare la presenza di due dimensioni separate, una sulla superficie della terra ed un’altra enigmatica zona illuminata “al di fuori” del nostro mondo. Alla resa dei conti, questa seconda dimensione poteva trovare una sua giustificazione razionale solamente in due luoghi ben definiti:
a) Nell’emisfero australe, che i Greci consideravano invisibile, visto che la terra piatta e circolare era considerata quella di superficie.
b) Nel sottosuolo, ossia nell’unico luogo dove può esistere un’ulteriore fonte luminosa non visibile da un uomo posto sulla superficie del pianeta.
A livello logico, i Greci avrebbero dovuto scartare senza indugi la prima delle due ipotesi, dal momento che gli Iperborei vivevano “a metà strada” tra i due Soli. Questo vuol dire che, anche ammettendo l’ingenua idea di una terra piatta di superficie, il trovarsi a metà strada tra due Soli poteva significare solamente una cosa: l’essere “in mezzo” tra la superficie boreale del pianeta ed una dimensione sotterranea dotata di una sua fonte luminosa. In tal senso le affermazioni di Plinio troverebbero una spiegazione plausibile, e potrebbero essere state fraintese nell’antichità a causa degli errori geografici degli studiosi che non conoscevano adeguatamente questa “paradossale” dimensione. Plinio, tra le altre cose, afferma che l’enigmatico popolo degli Attacori viveva in una posizione geografica “simile” a quella degli Iperborei. Nel corso delle mie ricerche non sono riuscito a trovare molte notizie su questa gente, ma è lo stesso autore a presentarci un passo molto interessante:
< Il popolo degli Attacori è protetto da ogni vento nocivo grazie ad una corona di alture solatie (= separate, isolate, nascoste) e perciò dotato dello stesso clima di cui godono gli Iperborei > (Plinio il Giovane, Storia Naturale).
Questa è l’unica citazione in cui gli Attacori, se sono realmente esistiti, vengono accostati agli Iperborei, ma è fondamentale perché ci offre un interessante dettaglio su cui riflettere attentamente: la presenza di una corona di alture isolate, che, oltre a mantenere entrambi i popoli separati dal resto del mondo, aveva un’importante funzione ermetica nel conservare al suo interno un’atmosfera “non nociva”, evitando così la diffusione di qualsiasi malattia. Le montagne che circondavano le terre di questi due popoli dovevano essere state piuttosto elevate, affinché l’ambiente fisico interno rimanesse libero da qualsiasi influenza esterna, ma ciò non è sufficiente per giustificare l’esistenza di un’atmosfera “non nociva”, né tanto meno quella di una terra temperata a ridosso della zona artica. Nell’estremo nord del pianeta non esiste alcuna terra chiusa da una catena circolare di montagne e, alla luce di quanto detto sopra, si può affermare che gli Iperborei provenivano da “oltre” Borea in un senso ben preciso. Se per un qualsiasi altro luogo geografico del pianeta è sufficiente proseguire per una qualsiasi direzione intorno ad esso per oltrepassarlo, nello specifico caso dell’estremo nord ciò non è possibile, perché nell’andare “oltre” ci si allontanerebbe inesorabilmente da esso. Da un punto di vista geometrico il polo nord si presenta come un punto limite che può certamente essere raggiunto, ma non superato, a meno che non si sia disposti ad inquadrare il problema con una prospettiva diversa da quella “standard”. Solo in quest’ultima eventualità andare “oltre” il polo nord sarebbe cosa fattibile, perché indicherebbe o il proseguire verso l’alto o, al contrario, verso il basso. E se quanto si trova sopra il polo nord è facilmente verificabile ad occhio nudo, o con l’ausilio delle sonde spaziali, se proprio vogliamo avere la certezza che gli Iperborei non si trovino galleggianti nello spazio interplanetario, non si può affermare altrettanto su ciò che si trova sotto la calotta artica e, soprattutto, all’interno del pianeta.
Ricordo al lettore che siamo già a conoscenza di un sacerdote iperboreo di nome Abari, il quale senza una particolare freccia d’oro non era più in grado di fare ritorno al suo paese d’origine, né tanto meno di ritrovare “i suoi percorsi”. Se consideriamo che dal Mediterraneo fino almeno in prossimità dell’inizio della calotta polare artica, non esistono particolari zone tassativamente “insuperabili” dagli esseri umani, dobbiamo dedurre che le difficoltà di collegamento con la regione degli Iperborei riguardavano per lo più quel punto di passaggio bidimensionale in cui si accedeva fisicamente verso il “sotto”. Tale “punto di passaggio dimensionale”, oltre ad essere sconosciuto ai più, non si poteva attraversare senza l’ausilio di precisi aiuti. Ecco perché era opinione ben radicata nell’antichità che gli uomini “normali” non potessero in nessun modo raggiungere questi mitici luoghi. Il poeta olimpico Pindaro, che ha ricordato più volte gli Iperborei nelle sue opere, ha reso molto bene l’idea di questa intricata situazione:
< Tu non troverai per mare né a piedi la “via meravigliosa” che porta alle feste degli Iperborei […] Essi banchettano allegramente. Né morbo e funesta vecchiaia contagiano quella sacra progenie; e senza fatiche e battaglie dimorano lungi da Nèmesi severamente giusta > (Pindaro, Pitiche).
Credo che al lettore l’antifona sia oramai chiara. Gli Iperborei risiedono in un luogo reale, ma isolato dal resto degli uomini e “lungi da Nèmesi”, ossia dalla divinità che si pensava vegliasse affinché i mortali troppo orgogliosi non tentassero di uguagliare gli dèi, entrando nell’aldilà. Ma dove si può trovare questa “via meravigliosa”, non percorribile “né per mare, né a piedi”? Se è realmente esistita in tempi antichi, essa avrà pur lasciato qualche traccia nella memoria degli uomini e, soprattutto, se Abari nel V secolo a.C. poteva tranquillamente tornarsene a casa con l’ausilio della sua “freccia d’oro”, quale era il giusto percorso da seguire per emularlo?
Le precedenti testimonianze mitiche dimostrano che la strada da battere per giungere nel paese degli Iperborei era completamente “fisica”, in quanto Abari aveva sì bisogno della sua freccia per attraversare “montagne, mari e paludi”, ma questi ultimi erano pur sempre degli elementi fisici. La via da percorrere era “meravigliosa” solamente perché parti del mare e delle montagne si trovavano nel sottosuolo, e non sulla superficie del pianeta. Credo sia evidente, infatti, che, per rendere realmente inaccessibili dei luoghi fisici, come il mare o le montagne, non abbiamo altra possibilità se non interpretare l’attraversamento di Abari come un vero e proprio “passare dentro” il pianeta. Solo così le difficoltà di collegamento con il paese degli Iperborei possono acquisire un senso preciso.
In epoca classica era fondamentalmente corretto inserire l’isola degli Iperborei nell’estremo nord del pianeta, ma nessuno ha mai decifrato correttamente le strane diciture di Plinio e Diodoro Siculo, nonché quelle del neoplatonico Macrobio:
< Tutte le regioni che si trovano al di sopra della Scozia (terra i cui abitanti hanno ricevuto dagli antichi il nome di Iperborei, come se, ritirandosi verso l’interno, avessero oltrepassato i luoghi d’origine della borea), sono così oppresse da un gelo quasi eterno che non è facile descrivere quanto sia intensa l’ingiuria del freddo > (Macrobio, Commento al sogno di Scipione).
Macrobio è stato l’unico autore antico ad intuire il vero significato del termine “Iperborei”, perché “oltrepassare Borea” poteva alludere soltanto ad una cosa: “ritirarsi” verso l’interno del pianeta. Forti di questa convinzione, ci accorgeremo che anche le parole di Diodoro Siculo diventeranno molto più sensate, perché la terra iperborea potrebbe trovarsi realmente “anti-stante” (ossia “dall’altra parte”) rispetto a quella Celtica. Era quindi una cavità abitabile sotto l’attuale Gran Bretagna? La risposta sembrerebbe essere affermativa, anche perché i Greci erano a conoscenza di almeno un altro popolo mitico che si diceva abitasse ancora “più distante” degli Iperborei. A testimonianza di ciò, riporto un antico racconto di Teopompo di Chio, uno storico greco vissuto nel IV secolo a.C.. In esso si ricorda un dialogo avvenuto tra il satiro Sileno ed il leggendario re Mida, nel quale si parla di un’altra terra mitica posta oltre i “Confini del Mondo”, la cosiddetta “Meropide”:
< Re Mida e Sileno conversarono tra loro su numerosi e svariati argomenti, e Sileno spiegò anche questo a Mida: che l’Europa, l’Asia e la Libia sono isole circondate dalle acque dell’oceano, e che esiste un solo continente, il quale è situato “al di fuori” di questo mondo. E raccontava che questo continente è immenso e nutre una quantità di animali di notevoli dimensioni: gli esseri umani, in particolare, sono grandi il doppio rispetto a quelli della terra, e la loro vita non dura quanto la nostra, bensì anch’essa il doppio; le loro città sono molte ed enormi, molti i regimi di vita che le contraddistinguono, e gli abitanti sono regolati da leggi che sono l’opposto di quelle vigenti presso di noi. Sileno narrava poi che vi sono due città di straordinaria estensione, per nulla simili tra loro: una si chiama Battagliera (Machimus), l’altra Religiosa (Eusebes). I cittadini di quest’ultima vivono in pace e in gran ricchezza, e ricavano i frutti dalla terra senza usare aratri né buoi, né hanno alcun bisogno di lavorare il terreno e seminarlo. Godono sempre di ottima salute e non conoscono malattie, e vivono fino all’ultimo giorno allegri e gioiosi al massimo; sono poi così incontestabilmente giusti che gli dèi spesso non disdegnano di andarli a trovare. I cittadini di Battagliera, invece, sono molto bellicosi: nascono con le armi in pugno e non fanno altro che combattere e sottomettere le genti limitrofe, sicché questa sola città viene a dominare su un’infinità di popoli. I suoi abitanti non sono meno di venti milioni; essi muoiono talvolta di malattia, ma ciò accade di rado, perché per lo più periscono in guerra, abbattuti dai sassi o da armi di legno: il ferro, infatti, non li ferisce. Hanno una tale abbondanza di oro e di argento che in quel paese l’oro vale meno di quanto valga da noi il ferro > (Claudio Eliano, Storie varie).
Come potete appurare voi stessi, le caratteristiche idilliache di questi popoli mitici sono sempre le stesse, e ciò dimostra che anche i loro ambienti fisici dovevano essere molto vicini ed inseriti nello stesso habitat sotterraneo. Per quanto ne sappiamo, Teopompo di Chio è l’unico autore antico ad essersi pronunciato sul popolo dei Meropi, ed è per questo motivo che i suoi contemporanei tentarono di vedere un parallelo tra la Meropide e la famosa Atlantide di Platone, giocando sul fatto che entrambe le terre condividevano dei caratteri comuni, e pensando che lo stesso Teopompo le avesse confuse.
Questo accostamento è del tutto naturale, ma bisogna tenere presente che quasi tutti i popoli mitici, posti “oltre” il mondo conosciuto, possedevano delle note paradisiache tipiche che, in un modo o nell’altro, si ripetevano costantemente. Credo che il lettore abbia oramai capito il perché. Meropi, Iperborei ed Atlantidi, erano popoli indipendenti l’uno dall’altro, ma colonizzavano delle “isole” concave all’interno del pianeta che, pur essendo separate, offrivano agli esseri umani che le abitavano delle condizioni biologiche molto simili, nonché facili da confondere per un uomo di superficie. In queste terre “quasi” idilliache gli uomini vivevano liberi dalle malattie e dal lavoro, e morivano “carichi di anni”, con un’aspettativa di vita che andava ben oltre quella dei comuni mortali. Lo si è già visto per gli Iperborei e per i Meropi, ma anche l’Atlantide platonica godeva di condizioni biologiche estremamente favorevoli. Questo però è un discorso che faremo un’altra volta…
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