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PSICHE E CRISI DEL RIDUZIONISMO MATERIALISTA

Inizio citando il famoso psicologo della Gestalt Kurt Koffka sul fallimento del riduzionismo materialista in psicologia (1930): “la soluzione materialista è sorprendentemente semplice. Dice: l’intero problema è illusorio. Non esistono tre tipi di sostanza o modi di esistenza, la materia, la vita e la mente: ce n’è uno solo, ed è la materia, composta da atomi ciecamente vorticosi che, a causa del loro grande numero e del lungo tempo a loro disposizione, formano ogni sorta di combinazioni, e tra queste quelle che chiamiamo animali ed esseri umani.

Il pensiero e il sentimento… sono solo movimenti di atomi… Questa visione non è solo una convinzione scientifica, ma anche, o ancor più, un credo e un desiderio. 

È la rivolta di una generazione che ha visto una chiesa fortemente radicata aggrapparsi a dogmi che la scienza, crescendo come un giovane gigante, aveva schiacciato – una generazione che, grazie al successo delle applicazioni della scienza ai problemi tecnici, era diventata vanagloriosa e aveva perso quel sentimento di soggezione che dovrebbe accompagnare tutta la vera conoscenza. Come i barbari vittoriosi, siano essi vandali o calvinisti, distruggevano a fondo e con passione le creazioni più care ai nemici sconfitti, così i nostri materialisti svilupparono un odio per quelle parti della filosofia umana che andavano oltre le loro ristrette concezioni. Essere chiamato filosofo era un insulto, ed essere un credente significava appartenere agli Intoccabili”.

Koffka ha anche buoni argomenti contro il darwinismo: “Potremmo facilmente cadere nella trappola della spiegazione teleologica, guardando al risultato della comunicazione e usando questo risultato come causa del processo. Dire: un certo processo avviene perché è biologicamente utile, sarebbe il tipo di spiegazione da cui dobbiamo guardarci. Infatti, il vantaggio biologico di un processo è un effetto che deve essere spiegato dal processo, ma il primo non può essere usato per spiegare il secondo. Il concetto di vantaggio biologico, invece, non appartiene affatto alla dinamica. E quindi le spiegazioni teleologiche in termini di vantaggio biologico non trovano posto nella teoria della Gestalt”.

I neuroscienziati sono riduzionisti e principalmente monisti. Nella sua forma classica, il monismo materialista implica che corpo e mente siano la stessa cosa. La teoria dell’identità postula una corrispondenza completa tra mente e corpo: gli stati mentali o i fenomeni mentali, come provare dolore o vedere un colore rosso, non sarebbero altro che eventi neurali che dipendono dall’attivazione di specifici neuroni, strutture o vie cerebrali.

Pertanto, gli eventi soggettivi devono essere assimilati a quelli oggettivi a livello corporeo: ad esempio, la sensazione di dolore sarebbe un mero epifenomeno di un fatto neurobiologico. 

La mente viene di conseguenza interpretata dai materialisti mainstream come nient’altro che un sottoprodotto dell’attività cerebrale.

Anche alcuni tra i più illuminati rappresentanti della posizione fisicalista, però, mettono in guardia da questo crudo riduzionismo.

Cito due Autori:

Mark Johnson (2007): “Nessun singolo metodo di indagine potrebbe mai catturare tutto ciò di cui abbiamo bisogno per aiutarci a comprendere i fenomeni strettamente intrecciati di corpo, significato e mente. Per esempio, a meno che gli esseri umani come specie non perdano un giorno la loro capacità di coscienza, non rinunceremo mai al livello fenomenologico di spiegazione. Come minimo, definiremo molti dei fenomeni primari della mente sulla base della nostra esperienza del corpo e del mondo. Di conseguenza, l’adeguatezza delle spiegazioni di altri livelli (come i resoconti delle neuroscienze cognitive) sarà giudicata, in parte, in base a quanto ci aiutano a comprendere i fenomeni così descritti (cioè il corpo fenomenologico). Cos’altro potremmo aspettarci, visto che tutte le spiegazioni sono spiegazioni a e per noi stessi, orientate ad aiutarci a comprendere il nostro mondo? Esse saranno necessariamente valutate da noi in relazione alle nostre capacità corporee di creazione di significato, di indagine e di pensiero”.

Alberto Oliverio (2012): “I neuroscienziati hanno puntato a chiarire la natura dei diversi meccanismi del cervello, ma hanno prestato meno attenzione ai modi in cui essi cooperano e a quelle interazioni attraverso le quali emerge una mente che non deriva dalla semplice somma di singole attività che sono separate in compartimenti stagni”.  Pur descrivendo i meccanismi emotivi, i neurotrasmettitori che ne sono alla base, i centri nervosi coinvolti, i neuroscienziati non si sono concentrati sugli aspetti classici delle emozioni: il loro significato, le loro relazioni con le esperienze lontane, il modo in cui le emozioni contribuiscono a dare un senso alla nostra esistenza, a dirigere i nostri scopi, a strutturare i nostri schemi di pensiero. Per questi motivi, sebbene alcune teorie della mente tengano conto dei risultati derivanti dalle conoscenze neuroscientifiche, la mente a cui guardano filosofi e psicologi è solitamente diversa da quella descritta dai neuroscienziati. Nonostante i progressi delle neuroscienze – o forse proprio a causa di essi – sembra persistere il contrasto tra il mondo dell’oggettività e quello della soggettività, il mondo dei meccanismi e quello dei significati. “

 

La condizione data dai fisici mainstream può essere concepita come un processo unidirezionale dal basso verso l’alto: il sistema nervoso, al suo livello più alto, produce proprietà mentali. La mente come entità separata potrebbe addirittura essere inesistente.

Questa teoria, tuttavia, sia che il rapporto cervello-mente venga interpretato come identità, sia che venga inteso come relazione causale, sembra già meno convincente quando si considera il dolore o l’angoscia mentale: nel caso di una persona che soffre per ciò che è accaduto a se stessa, qualsiasi modifica neurobiologica sarà secondaria

A questo livello, il suddetto processo unidirezionale dal basso verso l’alto assume la forma di un processo bidirezionale, in cui anche la componente top-down deve essere presa in considerazione.

Questo potrebbe portarci a constatare che la mente, una volta creata dall’attività cerebrale, ha una vita propria, in qualche modo indipendente. La mente interagisce con se stessa e il prodotto della sua attività si riversa in qualche modo sulla struttura fisica che ha causato l’inizio del processo stesso.

In questo modo, siamo in grado di avere una migliore spiegazione di alcuni fenomeni psicofisici che oggi sono fuori dalla portata della spiegazione in termini fisicalisti convenzionali. Tra questi, fenomeni di estrema influenza psicofisiologica come stigmate, vesciche ipnotiche o altri segni sulla pelle di forme specifiche e in luoghi specifici indotti dalla suggestione o dalla fervida immaginazione; impressioni materne; influenza mentale a distanza sui sistemi viventi; che non sono compatibili con i percorsi anatomici e fisiologici conosciuti. E ancora: le esperienze mistiche che trasformano la vita, sia in forma estroversa che introversa, e le loro connessioni con la creatività di livello geniale, i fenomeni psi e le NDE che si verificano in condizioni fisiologiche estreme.  Ma anche: i fenomeni centrali della nostra vita mentale cosciente quotidiana, tra cui il significato, l’intenzionalità e la coscienza stessa con le sue caratteristiche intrinseche di unità, contenuto qualitativo o fenomenico e punto di vista soggettivo.  

 

Questo concetto (la mente che interagisce con se stessa e con la struttura che la produce in una direzione bidirezionale) è tutt’altro che ingenuo e perfettamente compatibile con gli ultimi sviluppi della fisica moderna.

A questo proposito, Henry Stapp, noto fisico quantistico, ha proposto un tentativo sistematico di utilizzare le implicazioni della fisica quantistica per la teoria mente-cervello. Secondo Stapp, continuano a esistere processi meccanici dal basso verso l’alto e ad azione locale (che von Neumann chiama Processo 2), come il processo di esocitosi in cui le molecole di neurotrasmettitore vengono rilasciate nella fessura sinaptica, ma questi ora assumono la forma prescritta dalle generalizzazioni quantomeccaniche delle leggi della meccanica classica e incorporano tutte le incertezze implicate dai principi quantistici. Operando da solo, il Processo 2 genererebbe rapidamente una vasta proliferazione di possibili stati cerebrali, esistenti simultaneamente in uno stato di potenzialità. Ciò che effettivamente accade, secondo il principio quantistico, è determinato almeno in parte da un secondo processo (Processo 1) di carattere fondamentalmente diverso, che lo stesso von Neumann ha caratterizzato in modo specifico come derivante da, o che porta a, la mente umana, “la vita intellettuale interna dell’individuo” (p.418). Queste influenze sono completamente libere, nel senso che non sono determinate da nulla nella fisica stessa. La coscienza stessa, insomma, è necessaria per completare la dinamica quantistica.

In sintesi, secondo Stapp, l’attività mentale cosciente opera dall’alto verso il basso, e in modo intrinsecamente non locale, per selezionare o imporre modelli di attività cerebrale oscillatoria su larga scala, quasi stabili, dalla moltitudine di modelli possibili generati dal processo 2. Questi tipi di modelli di attività globale corrispondono in modo naturale ai correlati neurali dell’attività mentale, come convenzionalmente concepita. Questo tipo di schemi di attività globale corrisponde in modo naturale ai correlati neurali dell’attività mentale, come convenzionalmente concepita.

 

Per i materialisti puri si prospettano tempi sempre più duri. Lo psichiatra americano Edward Kelly, con un’équipe multidisciplinare altamente qualificata riunita presso l’Università della Virginia, ha prodotto due libri molto approfonditi sul piano empirico, probatorio e teorico: “Irreducible Mind” (2007) e “Beyond physicalism” (2015). In questi libri, sulla scia tracciata da F. Myers (“La personalità umana e la sua sopravvivenza alla morte corporea”, 1907), delinea alcune direzioni di ricerca allargate per includere fenomeni, finora relegati al campo della “parapsicologia”, a pieno titolo all’interno dei temi di pertinenza delle scienze psicologiche e psichiatriche. Le teorie devono essere adattabili per includere i fenomeni osservati e gli elementi potenzialmente significativi per l’avanzamento della conoscenza specifica, e non devono essere utilizzate per escludere fenomeni che non si addicono al loro quadro di riferimento.

I progressi qualitativi della scienza nascono, sottolinea Kelly, non dall’osservazione dei soliti fenomeni, che rientrano nella teoria, ma di fenomeni eccezionali, insoliti, che proprio per le loro qualità, falsificano la teoria tradizionale e portano a elaborarne una nuova. Proprio come nel campo della fisica, dove alcuni fenomeni eccezionali hanno portato a superare la fisica classica scoprendo la realtà relativistica e quantistica, lo stesso ci si deve aspettare con lo studio della psiche. Nella sfera psichica si osservano, anche se raramente rispetto a quelli abituali, molteplici fenomeni che confutano e falsificano la teoria dominante sulle relazioni psiche-materia e sulla realtà stessa.  Nascondere questi fenomeni, o metterli da parte sotto l’etichetta di “para…”, solo perché sono statisticamente rari e perché sono difficili da osservare, o per ottenere l’approvazione delle Autorità mainstream (con relativi finanziamenti e carriere) è ancora una scelta maggioritaria. Il mainstream è la fine della conoscenza quando diventa il suo obiettivo.

Kelly, riferendosi agli esperimenti e alle osservazioni sul campo dei fenomeni “Psi” raccolti sistematicamente in 130 anni dai ricercatori di “parapsicologia sperimentale”, afferma che “i fenomeni di base in questione implicano, per definizione, correlazioni che si verificano attraverso barriere fisiche che dovrebbero essere sufficienti, in base ai principi fisici attualmente accettati, a impedirne la formazione”. Particolarmente sensazionali e difficili da eludere sono i fenomeni di macropsicocinesi riguardanti oggetti a misura d’uomo. È il caso di Giuseppe da Copertino, un frate francescano vissuto nel XVII secolo, che fu visto alzarsi e volare durante l’estasi in ambienti chiusi e aperti per brevi e lunghe distanze e altitudini, da migliaia di testimoni, tra cui il futuro papa Benedetto XIV, Prospero Lambertini. Questi, inizialmente ostile, si era interessato al fenomeno popolare con l’intenzione di squalificare il monaco, ma, avendo assistito personalmente ai voli estatici, più tardi, da Papa, emise il decreto di beatificazione. 

Kelly riporta anche casi ancora più sensazionali e inquietanti, che sconvolgono le teorie mainstream, di “vera precognizione”, cioè di apprensione diretta o non mediata di eventi futuri: “La cosa più significativa, a nostro avviso, sono i molti casi spontanei ben documentati che coinvolgono molteplici dettagli fattuali di basso livello che vengono registrati al momento dell’esperienza originale (che spesso assume la forma di un sogno insolitamente vivido o intenso) e che poi si verificano in modo verificabile in un punto lontano del futuro”. 

Egli sostiene, inoltre, che esiste “un’ampia serie di prove che suggeriscono direttamente la sopravvivenza post mortem, la persistenza di elementi della mente e della personalità dopo la morte corporea. … Di fatto possediamo una grande quantità di tali prove, molte delle quali di qualità molto elevata, ma sfortunatamente questo lavoro rimane praticamente sconosciuto al di fuori della ristretta cerchia di persone professionalmente coinvolte”. Questa linea di ricerca deriva storicamente dagli studi sulla “trance medianica”: “Gran parte delle ricerche più importanti ruotano attorno a una mezza dozzina di persone di questo tipo che si sono dimostrate particolarmente brave a fornire, in condizioni ben controllate, informazioni dettagliate e accurate che sembravano provenire da specifiche persone decedute di cui non avrebbero potuto venire a conoscenza in alcun modo normale”. Tra questi spicca il caso storico di Leonora Piper, scoperto nel 1885 da William James, il fondatore della psicologia scientifica americana.

L’area di ricerca sulla sopravvivenza post-mortem riguarda anche le cosiddette “apparizioni”, in cui il percipiente può vedere una vera e propria apparizione visiva, sentire una voce, fare un sogno o semplicemente percepire la presenza di una persona cara, nel momento in cui l'”agente” subisce una lesione grave o mortale in un luogo fisicamente lontano.   Bob Rosenberg ha costruito sull’argomento un archivio di oltre 700 casi individuali, molti dei quali includono una documentazione dettagliata, come: testimonianze di persone o partner che hanno assistito all’evento, e dati clinici e legali. Sembra davvero difficile trascurare l’impatto di tutto ciò, rifugiandosi dietro una semplice negazione.

Il famoso neuroscienziato C. Koch, che ha lavorato per 20 anni con F. Crick, co-scopritore della molecola del DNA, ha recentemente (2009) sconvolto la comunità scientifica pubblicando la sua convinzione che la coscienza probabilmente non risiede esclusivamente nel cervello, ma è una manifestazione essenziale della realtà. Questa visione, conosciuta dai filosofi come “panpsichismo”, trova oggi la sua massima espressione nella teoria scientifica della coscienza del neuroscienziato G. Tononi, in passato collaboratore del super materialista G.M.Edelmann, premio Nobel, e coautore del libro:  “Un universo di coscienza. Come la materia diventa immaginazione”, 2000. 

Tononi ha delineato nel 2004, e poi sviluppato successivamente, la cosiddetta ITT (Integrated Information Theory). Secondo questa prospettiva, “la coscienza è una proprietà fondamentale, come la massa e la carica. Ovunque ci sia un’entità con stati multipli, c’è una certa coscienza. È necessaria una struttura speciale (come il sistema nervoso umano) per raccogliere gran parte di essa, ma la coscienza è ovunque, è una proprietà fondamentale”. “Questa teoria, così distante dall’iniziale approccio mainstream puramente materialista, è ora oggetto di seria considerazione da parte del mondo delle neuroscienze, essendo basata su presupposti empiricamente quantificabili. Le implicazioni sono vaste e impensabili fino ad oggi: il valore matematico dell’informazione integrata in una rete, noto come phi, è maggiore di zero in ogni cellula vivente, in ogni circuito elettronico, persino in un protone composto da sole tre particelle elementari.

Fisici come J. Wheeler hanno gettato le basi per la comprensione di una realtà completamente nuova, in cui la materia, le leggi e le costanti fisiche della natura e l’intero universo sono meglio descritti non in termini di oggetti fisici, ma attraverso l'”elaborazione di un’informazione dinamica fondamentale”.

La meccanica quantistica suggerisce che, al livello più profondo della natura, l’intero universo fisico è interconnesso.  L’informazione totale dell’Universo potrebbe essere integrata in qualche senso profondo? L’Universo è in qualche modo consapevole di se stesso? Siamo noi stessi, con le nostre coscienze individuali separate e cooperative, il modo in cui l’Universo è consapevole di se stesso (come ha affermato l’astrofisico C. Sagan)? 

Il mistero e lo stupore fanno parte della nostra vita e ci accompagnano in tutte le nostre esperienze di trasformazione. Il riduzionismo materialista non fa che allontanarci dalla verità.

Paolo Cioni

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