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ISRAELE E I NUOVI SCENARI JIHADISTI

Quanto sta avvenendo in Israele può essere facilmente ricondotto ad un piano organizzato, l’ipotesi che gli attacchi terroristici siano individuali sembra possa essere esclusa. I recenti attacchi sono stati rivendicati da “brand” fondamentalisti differenti: un commando dell’Isis (attraverso Amaq Agency, l’organo propagandistico ufficiale deputato alla diffusione delle notizie inerenti lo Stato Islamico) e Al – Fatah (organizzazione paramilitare palestinese, appoggiata da Hamas).

Il portavoce di Hamas, attraverso i social, ha voluto sottolineare che tali iniziative siano una diretta reazione al summit tenutosi nel deserto del Negev dove si sono riuniti i ministri degli esteri dei paesi aderenti agli Accordi di Abramo (Stati Uniti, Israele, Emirati Arabi Uniti, Marocco, Bahrein, con la partecipazione aggiuntiva dell’Egitto). L’incontro ha sicuramente una portata storica in quanto è la prima volta che importanti rappresentanti di questi stati si riuniscono in territorio israeliano. Osservatore non partecipante, ma sicuramente attento alle dinamiche del nuovo equilibrio mediorientale, è l’Arabia Saudita che, nel corso delle gare di Formula 1, con gli occhi del mondo puntati su di sé, ha registrato un attacco missilistico ad opera dei rivoltosi Houthi (sostenuti e armati dai Pasdaran iraniani) ai danni di una centrale petrolifera estrattiva della Saudi Aramco. In tal senso, risulta quindi “facile” prevedere azioni mirate da parte delle cellule terroristiche che accusano da tempo le monarchie del Golfo di blasfemia a causa delle posizioni dialoganti assunte e le scelte culturali prese (ad esempio ospitare l’Expo a Dubai).

È importante tener presente che il tema principale della riunione non era unicamente la legittimazione di Israele (già avvenuta tramite la stipula dell’accordo), ma il focus è invece da ricondurre alla lotta al terrorismo sunnita e alla “gestione” delle influenze provenienti da Teheran. Purtroppo, come spesso avviene nel corso di summit di tale portata, il segnale più importante è stata la riunione in sé per sé dato che linee guida capaci di combattere il terrorismo internazionale non sono emerse. Si è giunti però alla decisione di ripetere simili incontri annualmente per rendere operativa una forma concreta di sicurezza regionale e la reale condivisione delle specificità qualitative dei paesi interessati.

Ovviamente la presenza degli Emirati, che puntano a diventare il principale interlocutore diplomatico del Medioriente, è stata vissuta dagli antagonisti come una sconfitta. Se si pensa all’Egitto invece si può ipotizzare un senso di tradimento vero e proprio da parte del popolo palestinese più radicalizzato in quanto lo stato faraonico ha mantenuto l’autorità territoriale sulla Striscia di Gaza dal 1948 al 1967. Durante il summit il ministro di Al Sisi ha discusso della sicurezza del Sinai ed è stato deciso che verrà creata una forma di cooperazione per contrastare attacchi missilistici e di droni e si è fatto riferimento alla piaga della pirateria nel Mar Rosso.

Risulta una novità anche la “collaborazione” tra cellule terroristiche, in quanto l’Isis non ha mai svolto azioni congiunte con altre cellule come Hamas o Al – Fatah. Proprio per questo è più credibile pensare che stia prendendo campo una lotta intestina tra Daesh e Al – Qaeda per “aggiudicarsi” l’egemonia sul terrorismo di matrice jihadista a livello globale.

Stupisce la posizione assunta da Hezbollah – sciiti, sponsor diretto dell’Iran, nemici dell’Isis in Siria fin da quando il portavoce dell’organizzazione libanese (Hassan Nasrallah) dichiarò di sostenere il governo di Assad – che ha ufficialmente lodato le azioni sunnite in territorio ebraico: infatti sembra così confermarsi l’adagio secondo cui “il nemico del mio nemico è mio amico”. Ulteriore considerazione di rilievo è l’intenzione ufficiosa di Putin secondo cui vorrebbe chiedere la collaborazione di Hezbollah nello scenario ucraino dopo aver assistito alle capacità militari in Siria del gruppo sciita.

Questi sono i segnali reali che dovrebbero far intendere quanto la sicurezza dello stato ebraico sia seriamente messa a rischio e far comprendere che potrebbe non trattarsi di una delle ormai note parentesi di violenza che ciclicamente investono Israele.

Arianne Ghersi

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