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FEDE, SCIENZA E CIVILTA'

Quando, durante la Controriforma, i Vescovi cattolici fondavano le Università, le facoltà più diffuse erano: Diritto, Filosofia, Teologia e Medicina. C’era l’idea che le future classi dirigenti dovessero ricevere un’adeguata preparazione non solo riguardo alla sfera fisica, ma anche a quella spirituale. Spesso addirittura lo studio delle scienze naturali faceva parte del curriculum degli studenti della facoltà teologica, proprio perché era visto come un’estensione della stessa materia, lo studio di Dio e di conseguenza anche della realtà materiale, vista come creazione divina.

Il cattolicesimo in particolare e il cristianesimo in generale possono annoverare una folta compagine di scienziati credenti e praticanti: Newton studiava attentamente le Sacre Scritture e in particolare l’Apocalisse, e basandosi su di essa cercava di calcolare con precisione la data della fine del mondo; Copernico, padre del modello eliocentrico, prese gli ordini minori; Pascal fu un matematico ma anche un importante teologo e da ultimo, giusto per citarne alcuni tra i tanti, Lazzaro Spallanzani oltre a essere il padre della biologia moderna era anche un Gesuita.

Per secoli la fede religiosa e lo studio delle materie scientifiche si sviluppano armonicamente, in una visione equilibrata in cui realtà materiale e spiritualità coesistono e si completano.

La grande rottura si ha dapprima con le correnti più radicali dell’Illuminismo, che non negano il principio divino ma lo separano dalla religione, e poi in definitiva con il Positivismo, un movimento culturale e filosofico che si sviluppa in Francia nella prima metà dell’800.

Il Positivismo fa del dato positivo, cioè quantificabile, misurabile e certo, l’oggetto della sua indagine filosofica. In pratica con una svolta netta stabilisce che l’unico ambito di studi con una serietà metodologica e valore è quello scientifico inteso in senso moderno, cioè che si basi su concetti “reali”, immediati e oggettivi.

Gli studi come Lettere, Filosofia e Teologia non è che siano sbagliati, ma non avendo un’utile pratico immediato sono fondamentalmente inutili, o comunque privi della solidità delle materie scientifiche. Viene meno la contrapposizione tra giusto o sbagliato e si afferma quella tra ciò che è utile e ciò che è inutile, e quindi in definitiva evitabile e rinunciabile, mentalità che ancora oggi purtroppo impregna la nostra società.

Ma il punto è che la Teologia non è inutile, e la stessa religione è una risposta alle domande insite nell’uomo, per cui se viene meno una visione religiosa della vita l’uomo deve trovare queste risposte altrove. Ecco quindi l’assolutizzazione della Scienza, l’idea che possa prima o poi risolverà qualsiasi problema e qualsiasi domanda grazie al progresso, risolvendo quindi tutte le questioni a cui la religione prima dava una risposta.

Allo stesso modo un altro limite di questo approccio esclusivamente razionale (o meglio, pseudo-razionale) consiste nel chiudere gli occhi davanti a ciò che non è immediatamente spiegabile, negandogli importanza. Una delle questioni centrali della teologia, cioè cosa ci sia dopo la morte, è negata dicendo che non c’è nulla e che la questione è priva di senso. Non potendo dare una risposta si nega valore alla domanda.

A tutt’oggi esistono diversi scienziati che si rendono conto che la Scienza arriva fino a un certo limite, oltre al quale bisogna rendersi conto che solo la Fede può fornire risposte. La stessa religione risponde a una domanda di senso che non può trovarsi esaurita nelle normali dinamiche, a meno di non voler chiudere gli occhi su quanto non è immediatamente spiegabile, cosa che i positivisti fanno.

L’approccio razionale è, da ultimo, contrario alla nostra tradizione, non solo cristiana ma anche classica, che concepisce la realtà come un ordinato e armonico insieme di elementi spirituali e materiali, e così facendo abbandona quella che è l’impostazione tradizionale della nostra civiltà. Quella stessa civiltà da cui la Scienza è nata.

Andrea Campiglio

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