Da venerdì, queste certezze si sono velocemente incrinate, come è evaporato il sostegno internazionale a Serraj. Nello scambio dei messaggi, nelle telefonate via Skype si fa strada la paura di ripiombare nei momenti più bui della fase post-rivoluzionaria: il 2014 e il 2017, di cui molti edifici – soprattutto delle infrastrutture più importanti – portano traccia, “esponendo” ancora tutto il catalogo delle munizioni disponibili negli eserciti dell’ex Patto di Varsavia, o apparentati.
Si accalcano dal basso verso l’alto – mordendo dei palazzi come sifilide urbana – i fori dei colpi calibro 7,62 dei fucili d’assalto e delle mitragliatrici leggere sui primi piani, RPG e contraerea binata sui successivi. Intanto, si aspetta che gli altri giocatori determinanti – Zintan e Misurata – gettino nella mischia il loro peso specifico.
Il fronte è fluido e sui canali della propaganda riconosco i nomi di località visitate solo pochi giorni prima e oggi travolte dai combattimenti o colpite dalle salve di razzi.
Allora, non posso non pensare a come, nei caffè, nelle riunioni nelle case della borghesia impiegatizia umiliata dai ritardi del pagamento degli stipendi, dalle file estenuanti agli sportelli bancari, dalla scarsità di beni di consumo, e soprattutto da un senso di insicurezza fisica mai provata prima, si stia facendo strada – per ora a bassa voce – un senso di nostalgia per l’uomo forte che presto – come contraltare al caos e alla disgregazione – potrebbe trasformarsi in un progetto politico, qualora il cognome potente trovi un degno erede. In questo momento l’ordine vale più di ogni libertà.
Salvatore Santangelo per Geopolitica.info
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