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AUTONOMIA VENETO: NON PER SOLDI, MA PERCHÉ È GIUSTO

Non che i soldi facciano schifo, ma nessuno ha mai riconosciuto i meriti a una regione che nel recente passato ha trainato l'economia nazionale

Diverse chiavi di lettura sono possibili attorno al prossimo referendum del 22 ottobre. L’aspetto immediato è sicuramente quello economico, per fare un esempio il prezzo pagato dai cittadini del nord per usufruire dei servizi forniti dallo stato (entrate tributarie pro capite) è doppio rispetto a quelli del sud: € 10.229 contro € 5.841 (http://www.cgiamestre.com/articoli/24494). Il lombardo-veneto è il motore trainante del paese eppure da decenni vede ingrassare non lo sventurato meridione bensì le strutture parassitarie che lo mantengono in queste condizioni.

Tuttavia, l’aspetto a cui vogliamo dare maggiore evidenza è invece quello identitario: la riscoperta delle identità è una delle principali reazioni in controtendenza ai processi della globalizzazione. Questo processo si realizza là dove lingua (o dialetto), territorio e cultura si intersecano nel quotidiano, primariamente nella propria “polis” ma anche nella propria regione, nella “piccola patria”, nel proprio “ethnos”. Su questo aspetto non abbiamo dubbi: le identità particolari vanno tutelate, conservate, rivitalizzate.

In questa chiave, per noi veneti, il referendum assume un aspetto particolare, perché mentre alla Lombardia (pensiamo a Milano) è sempre stato riconosciuto un ruolo economico-finanziario di primo piano, noi veneti siamo sempre stati vittima di stereotipi tutt’altro che lusinghieri: i beoni, i boari, i mussi che pensano solo a lavorare e ad evadere, basta pensare alle sparate cariche di pregiudizi di un Toscani ripreso con fare canzonatorio dai media.

Con questo non dobbiamo cadere nell’eccesso opposto: l’indipendenza non è un bene assoluto, strutture nuove e più piccole non sono necessariamente migliori o più virtuose, anzi se i principali stati-nazione hanno difficoltà a difendere la propria sovranità quale forza possono avere degli apparati statali ancora più piccoli? La chiave di risoluzione non è tanto nelle dimensioni quanto nella qualità delle strutture di governo, che ad oggi non abbiamo a nessun livello.

Per questi motivi il referendum, al di là dei possibili risvolti economici o politici, speriamo che questa sia un’occasione di costruzione della propria coscienza di popolo, di riscoperta di noi stessi, in termini gramsciani un momento di riscatto per la “cultura subalterna” a danno della “cultura egemonica”.

Alessandro Galvanetti

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