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LE CULLE SONO VUOTE PERCHÉ SIAMO ARIDI DI CUORE, NON DI PORTAFOGLI

Non è colpa della crisi se si fanno meno figli: parola di Claudio Risé.

Poco tempo fa, in pieno Fertility Day, avevamo spiegato in un articolo molto letto e discusso che la vera crisi alla base del problema demografico era quella affettiva e non quella economica. E gli ultimi dati Istat confermano questo aspetto purtroppo ancora poco analizzato, come scrive oggi su Il Giornale il noto psicoterapeuta Claudio Risé.

Ancora una volta l’Istat ci racconta il nostro incubo. Siamo sempre più vecchi, e i bambini sono sempre meno. Eravamo a sei nonni per un ragazzino: adesso saremo a sei e mezzo.

Anche quello del rinnovamento portato dall’immigrazione, si è rivelato un mito, smascherato prima del previsto. Si pensava che l’apporto degli immigrati sul totale delle nascite sarebbe diminuito alla seconda generazione, ma qui si è ridotto da quasi subito. Anche per le straniere infatti la media dei figli è scesa al di sotto del fatidico 2% dei figli necessario per rimettere la bilancia demografica verso l’equilibrio. Come mai uno dei Paesi dove il bambino è più idolatrato al mondo, che ne apprezza i capricci più devastanti, lo vizia senza ritegno sotto gli sguardi disapprovanti non solo dei severi tedeschi, ma di qualsiasi altro europeo transalpino, poi non riesce più a metterlo al mondo?

Basta col solito mantra della crisi economica: quella c’è anche nei Paesi demograficamente più a posto e spesso più forte che a Milano o Torino, dove però di bambini ne nascono invece pochissimi, in ogni classe sociale. Anche se nascono più al nord che al nostro sud. In questa parte dell’Italia ormai i bambini, amatissimi fino a ieri (forse anche oggi) proprio non si riesce più ad aver voglia di farne. E non tanto per i soldi, che in quelle zone sono sempre stati pochi, ma per il degrado complessivo: il senso di disordine, di vita che fatica a prender forma. Non solo i bambini ma anche gli alberi, le aziende, i negozi, i tram: tutto. Roma è la grande maestra. Quando diventa difficile fare qualsiasi cosa, perché niente funziona più, nulla è vitale, non puoi più fare neanche i bambini, creazione semplice e naturale, ma anche delicatissima. Non si tratta però solo di una questione organizzativa.

Per aver voglia di fare bambini, dappertutto, al nord come al sud, bisogna soprattutto volersi bene, desiderarsi. Avere in mente un progetto, magari semplice e campato in aria, di stare insieme. Quello che Francesco Alberoni ha chiamato lo «stato nascente», appunto qualcosa di nuovo che si forma. È da quel misto di speranza, incoscienza, desiderio, allegria, spinta vitale che viene fuori un bambino. Che non è un’iniziativa pia, un atto sociale, un dovere civile: è prima di tutto un gesto di desiderio e di amore. È proprio quello che è in crisi. Negli ambulatori e studi di psicoterapia lo si vede con chiarezza: è lo slancio verso l’altro che non c’è, ed è lì (un campo quanto mai complesso e profondo) che occorrerà almeno convincersi che occorre fare qualcosa, oltre che sulle «strutture», i nidi, gli asili, le scuole. Tutto importantissimo, ma se poi fatichi a innamorarti non cambiano molto.

Allora, in questo triste rapporto Istat, c’è forse un dato interessante, che conferma un movimento già in atto: l’aumento dei nati da genitori non sposati, che assicurano oltre il 30% delle nascite nel centro nord. Quasi uno su tre. Per capirlo bene bisognerà incrociarlo con altri dati; ma in sé è un’indicazione di vitalità. Parla ad esempio, di coppie che «corrono l’avventura» di diventare genitori, di donne che si tengono il bimbo anche fuori dal matrimonio. E conferma poi il fenomeno, recente, dell’aumento di matrimoni nelle coppie già formate, con figli. Un dato ricorrente anche nelle ricerche internazionali, dove spesso i giovani, specialmente quando reduci da separazioni e divorzi fra genitori litigiosi, non vogliono sposarsi. Cambiano idea solo dopo aver sperimentato una relazione d’amore tutta diversa dal modello genitoriale. Piccoli segnali di disordine creativo, da cui sembra poter nascere qualcosa. Anche un bambino.

Di Claudio Risé (tratto da Il Giornale)

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