L’INTERNET DELLE COSE
Opportunità e rischi in un mondo dove le relazioni reali sono sempre più regolate da sistemi informativi interconnessi
Dopo un paio di articoli dedicati alla cosiddetta Intelligenza Artificiale (IA), parliamo di computer science seria, più specificatamente del nuovo standard di tecnologie intercomunicanti detto l’Internet delle Cose (“Internet of Things”, IoT). Perché stavolta è una cosa “seria”? Perché questa tecnologia è fattibile, ha i suoi piani di sviluppo che attirano gli investimenti delle multinazionali e dei fondi ed è destinata a caratterizzare il sistema industriale impattando la vita sociale nel XXI secolo. Se n’è accorta anche Google, che alla faccia di tanti proclami avveniristici ha ceduto la settimana scorsa alle catene di montaggio di Toyota i robottini costosi e inconcludenti di Boston Dynamics – quelli che dovevano essere i semi della singolarità transumana prossima ventura di Rubin e Kurzweil – per concentrarsi sull’IoT. La montagna dell’automa androide ha partorito il topolino del software android, un sistema operativo come un altro. I cyborg riguarderanno solo il divertimento di chi si diletta di fantascienza (e le tasche di chi su quel segmento dell’entertainment vive).
Alla produzione di servizi IoT sono dedicate anche imprese italiane, si calcola per un valore di 2 miliardi €, con un trend di crescita annuo a due cifre. Delle più promettenti s’interessano gli investitori, è il loro mestiere. Un paio di esempi. Solair è una piccola azienda emiliana specializzata nella sincronizzazione di oggetti a internet: i dispositivi collegati diventano “intelligenti”, perché automatizzano la supply chain, risparmiando lavoro e riducendo gli sprechi. Metti la filiera d’un Gruppo X che operi nella ristorazione, attraverso la progettazione, produzione e commercializzazione di macchine ed attrezzature professionali per l’erogazione di bevande. L’architettura del servizio di Solair al suo cliente X si comporrebbe di 3 fasi:
- Il dialogo tra le macchinette di X (distribuite nei ristoranti, nei bar, nelle stazioni, ecc.) e la piattaforma Solair. In questo passaggio avviene la raccolta dei dati in tempo reale da ogni punto vendita delle bevande.
- L’elaborazione nel cloud. I dati raccolti sono inviati alla piattaforma che li elabora, li traduce in informazioni (stato della macchina e quantità dei consumi) e genera azioni quali allarmi, notifiche o indicazioni di reportistica, così da migliorare la programmazione della manutenzione, il rifornimento di sostanze alimentari, gli interventi di assistenza, la soluzione da remoto di piccoli problemi.
- L’applicazione finale. Le informazioni relative alle macchine sono rese disponibili, sotto forma di applicazioni web, ai produttori delle sostanze per le bevande, ai distributori, ai manutentori: ogni operatore ha il proprio profilo di accesso e vede informazioni distinte, sul proprio cellulare, tablet o computer.
In questo modo il Gruppo X può ottimizzare la manutenzione delle sue macchine, risparmiare tempo sui rifornimenti, evitare interruzioni dell’erogazione; quindi ridurre i costi, migliorare i guadagni, dare un servizio migliore al rivenditore, al centro assistenza, ai clienti finali.
La reputazione che Solair si è guadagnata in 5 anni di vita, attraverso i servizi offerti ai settori industriali più disparati, ha attirato l’interesse di un colosso dell’Information Technology: nelle settimane scorse Azure, la divisione IoT di Microsoft, l’ha acquistata per un valore che è rimasto riservato. Pochi giorni prima, Intel aveva acquistato la pisana Yogitech, specializzata in sicurezza nell’automotive. Altri M&A sono in gestazione.
Forse qualcuno dei miei lettori appartiene a quell’87% di gente che non ha mai udito il termine IoT. Vediamo allora brevemente come l’evoluzione dell’industria vi è arrivata. La (prima) rivoluzione industriale, come si sa, è partita 250 anni fa in Inghilterra. Di qui si è diffusa nell’Europa continentale, negli Usa e poi in tutto il mondo, con macchine e fabbriche a moltiplicare di colpo le millenarie economie agricole, artigiane e mercantili di molti fattori di scala e ad inondare i mercati di nuovi prodotti. L’ultima – non ufficiale – rivoluzione industriale ha scandito gli ultimi 60 anni e si è caratterizzata per la potenza di elaborazione dell’informazione e per la nascita di reti di comunicazione diffusa. L’innovazione è cominciata nel Dopoguerra in Occidente con i grandi mainframe e il software, cui si sono presto aggiunti pacchetti informativi per la comunicazione chiusa tra piccole reti governative o bancarie. Negli anni ‘70 è comparso il www, una rete aperta e flessibile in linguaggi e protocolli di comunicazione, che consentiva lo scambio d’informazioni tra macchine eterogenee di tutto il mondo. La combinazione di potenza di processo, velocità di trasmissione e grandi volumi di relazioni ha portato infine alla nascita di piattaforme globali per lo scambio di transazioni commerciali/interazionali/sociali, come eBay/Facebook, con decine/centinaia di milioni di utenti e decine di miliardi di dollari di transazioni/centinaia di miliardi d’interazioni.
Queste due rivoluzioni industriali (ed economico-sociali) sono nate con architetture opposte in termini di gestione della conoscenza e di processo della decisione, perché in internet il calcolo e lo scambio dei dati sono basati su strutture e reti orizzontali d’intelligenza distribuita, che postulano integrazione e flessibilità. Rispetto al modello (fordiano) lineare e chiuso di ricerca e sviluppo della prima rivoluzione industriale matura, ristretto dalla geografia e a centralità decisionale, si sono sviluppati con internet modelli decentrati e non lineari.
La nuova era d’innovazione che si apre nel XXI secolo con l’Internet delle Cose consiste nella convergenza del sistema industriale globale con la potenza del calcolo sulla “nuvola”. La convergenza è resa possibile dalla connettività veloce e a buon mercato di internet e dalla collocazione di sensori distribuiti ovunque, sia nelle macchine che sul corpo umano (e persino dentro il corpo umano, in particolari servizi sanitari assistiti da remoto). Analitica avanzata e sistemi automatici di rilevamento in tempo reale dello stato di macchine e persone nel loro ambiente – anche in movimento: al mondo si contano attualmente 4 milioni di “grandi rotori” tra aerei, navi, ferrovie, ecc., con miliardi di pacchi merci e di persone a bordo – diventano fruibili (e potenzialmente invadibili) da tutto e da tutti.
L’ATM, la postazione dei bancomat, è stata forse il primo esempio (1974) di IoT. Nel 2008 c’erano già più oggetti connessi ad internet che persone. Nel 2015 il mercato dei dispositivi portabili è cresciuto del 223% rispetto all’anno precedente, con 4,4 milioni di braccialetti per la fitness, 3,6 milioni di Apple Watch, ecc. Quest’anno avremo 4,9 miliardi di oggetti connessi. Secondo le stime degli analisti finanziari, l’IoT aggiungerà tra i 10.000 e i 15.000 miliardi $ di prodotto lordo globale entro 20 anni.
La convergenza sulla nuvola promette di apportare maggiore efficienza ai settori industriali più diversi, dai trasporti all’energia alla chimica, a cascata fino alla piccola impresa o alla pubblica amministrazione, per chiudersi su servizi alla persona sempre più performanti. L’IoT fonde così insieme gli asset delle due rivoluzioni produttive precedenti: la miriade di macchine, facility, flotte e reti interne dell’industria, con i più recenti (e potenti) sistemi di calcolo e di comunicazione nel cloud. L’essenza dell’IoT si esprime
- in macchine “intelligenti” perché reciprocamente connesse tramite sensori, controlli ed applicazioni in reti mondiali;
- nell’analitica avanzata, che combina l’analitica basata sulla fisica (e non più solo sulla geometria) con algoritmi predittivi e l’automazione;
- nella connessione costante delle persone, che siano al lavoro o in ufficio, negli ospedali o in movimento, così da supportare la progettazione, le operation, la manutenzione o la cura con maggiore efficienza, qualità e sicurezza.
Tra gli oggetti del segmento consumer (B2C), l’IoT comprende cellulari, macchinette da caffè, lavatrici, cuffie, lampade, dispositivi portabili, automobili, sonde sanitarie, ecc. Nel mercato industriale (B2B), ogni tipo di macchina fin dalle sue componenti, come la turbina di un aereo o la trivella di una piattaforma petrolifera, fa potenzialmente parte del nuovo sistema tecnologico: ogni dispositivo dotato d’un interruttore è un possibile oggetto IoT. Insomma l’Internet delle Cose è una rete gigante di cose connesse, dove “cosa” sta anche per persona; anzi si può definire la rete materiale di tutte le relazioni riducibili alla fisica esistenti tra persona e persona, persona e cosa, cosa e cosa.
Nella figura sottostante sono rappresentati i servizi pubblici IoT di una città intelligente. Questo sottoinsieme dell’universo IoT permea la pianificazione urbana, l’ecologia, l’energia, i trasporti, la salute, il tempo libero, ecc, allo scopo dichiarato di migliorare la qualità della vita. I sistemi basati sui sensori generano masse di dati per assistere il cittadino a trovare un posto libero dove parcheggiare l’auto, aiutare il comune a risparmiare acqua nei parchi, monitorare i trasporti, gli ingorghi o i livelli d’inquinamento, ecc.
L’IoT apre certamente le porte a molte opportunità, ma anche a molte sfide. La sicurezza e la privacy sono in testa ai rischi, abbiamo visto in un passato articolo. Con miliardi di oggetti interconnessi, come possiamo essere certi che l’informazione che ci riguarda sia al sicuro? Qualcuno entrerà nel sensore della nostra caffettiera – quella che connessa alla sveglia ci prepara il caffè alla mattina – e da quella “porta” accederà a tutta la nostra rete?
Giorgio Masiero per Critica Scientifica
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