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CONTRO L’IPERMERCATO: RISCOPRIRE IL PRESTINAIO

Oggi siamo ecofriendly

Politica. Un termine che compare ripetutamente in ogni dove delle società odierne: programmi televisivi, siti internet, trasmissioni radio e quant’altro si occupano in continuazione di argomenti politici. Oggi come mai prima, le persone sono subissate da questioni, richieste e promesse politiche. Eppure, l’impressione è che questa pratica sia oramai svuotata del suo senso più ampio, perché piegata ad interessi altri (tecno-finanziari) ed incapace di coinvolgere le persone in quelle metanarrazioni a cui, come afferma Jean-François Lyotard, l’era post-moderna ha posto fine. Sempre più, la gente comincia a capire che difficilmente dall’alto cambierà qualcosa e perciò inizia ad organizzarsi dal basso, riscoprendo il valore della comunità, sepolto dall’illusione dello Stato-nazione prima e da quella mondialista poi. Ripartire dalle fondamenta, attraverso pratiche quotidiane, non di protesta, ma di proposizione, non di distruzione (di quella ce n’è fin troppa), bensì di costruzione. Riappropriarsi del proprio territorio, delle proprie città e degli altri elementi che costituiscono un’esistenza veramente umana, sono le priorità di gruppi consapevoli di cittadini. Su tutte, spicca la questione del cibo, attraverso le richieste (talvolta troppo radicali) di movimenti animalisti ed ecologisti, ma anche di contadini ed allevatori, che hanno il merito di porre un accento critico, su una tematica di dominio delle multinazionali, alimentata dal consumo ossessivo delle masse.

Non è difficile rilevare come i supermercati si siano imposti come unicum, rispetto alle possibili alternative. Questa unicità rispecchia le società nelle quali tali marchi sono inseriti, in cui si preferisce la quantità alla qualità dei prodotti, le offerte al ritmo delle stagioni, le novità estere rispetto alle tradizioni locali. Gli immensi scaffali ricoperti di prodotti, le tonnellate di sprechi e gli orari continuati sono una riproduzione di quello che succede là fuori, quando si esce col carrello carico di cose e si ha l’impressione di aver comperato un mucchio di immondizia. Carne agli antibiotici, pane di plastica, frutta e verdura ai pesticidi, sono solamente degli esempi dei prodotti che queste “cattedrali del nuovo millennio” offrono ai propri acquirenti. Certo, nei supermercati si possono trovare prodotti sani, alternative per tutti e diverse prelibatezze, ma il consumo ossessivo che porta le persone a riversarvici ogni giorno ad ogni ora cancella questi aspetti. Ciò che rimane è la massa, sia dei consumi che dei consumatori.

In opposizione ad una spesa consumista e consumata di questo tipo, vengono portate avanti, da un numero sempre più crescente di movimenti e cittadini, alternative critiche e responsabili. Scegliere cosa e dove comprare, infatti, è un vero e proprio gesto politico (nel senso integrale del termine), perché ha delle ricadute fondamentali su ciò che circonda il singolo individuo, dalla comunità alla Natura nel suo insieme. Senza dover necessariamente adottare scelte di vita più o meno radicali, dal vegetarianismo al veganismo (tralasciandone altre che si stanno sviluppando in questi anni), ragionare sulla questione dell’alimentazione è un’operazione importante per se stessi e per gli altri. Opporsi agli allevamenti intensivi, all’uso dei pesticidi in agricoltura, al trasporto di alimenti da un paese all’altro, sono dei piccoli grandi accorgimenti nella propria vita, che possono beneficiare al benessere dei propri simili, degli animali e della Terra. Come scrive John Baird Callicott: «La cosa importante, credo, non è il fatto di mangiare cibi animali al posto della carne animale, ma di combattere l’allevamento industriale in tutte le sue forme e l’uso di pesticidi, erbicidi e fertilizzanti chimici per incrementare i raccolti». In questo contesto, il vegetarianismo (e simili), che viene troppo spesso mitizzato da alcuni e denigrato da altri, sarebbe solamente parte di un percorso più esteso, che ha come caratteristiche fondamentali la criticità verso tutto ciò che si consuma e il rispetto per la vita nel suo insieme.

Su questa lunghezza d’onda, critica e propositiva, stanno prendendo sempre più piede in tutta Italia i mercati agricoli di vendita diretta. Si tratta di luoghi, solitamente aperti a cadenza (bi)settimanale, riservati alla vendita dei prodotti agricoli da parte dei soli produttori. Proprio il contatto diretto con quest’ultimi, l’acquisto di prodotti a “km0” (ovvero provenienti solamente dalle aziende del territorio circostante) e la stagionalità dei cibi, assieme ai prezzi a volte contenuti altre convenienti (differentemente da quanto accade nei vari supermercati biologici che tanto stanno fiorendo in questo periodo), sono i punti di forza di questi punti vendita. Il principio generale che li governa è semplice: consumare di meno per mangiare meglio, con una particolare attenzione agli equilibri della Natura. Di fatto, questi mercati incarnano un principio ecologico nel senso ampio del termine, ovvero invitano a pensare alle interconnessioni tra tutti gli enti che abitano un determinato ambiente. Il risultato è una responsabilizzazione generale da parte della comunità che, pian piano, prende parte a tale processo, alternativo rispetto a quello acritico e passivo perpetrato all’interno dei supermercati. Del resto, come sostiene Murray Bookchin: «Se il locus del radicalismo proletario era la fabbrica, quello del movimento ecologico sarebbe la comunità: il quartiere, la città, la municipalità». E il miglior modo per rigenerare la comunità, è proprio quello di partire dal basso, attraverso pratiche quotidiane responsabili ed equilibrate.

Lorenzo Pennacchi per l’Intellettuale Dissidente

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