L’ISIS SEGRETO: ECCO COME SI DIVENTA FOREIGN FIGHTER
Dodici ore per arruolarsi. La gavetta la offre al-Baghdadi.
Il Talebano ha il piacere di presentare un primo stralcio del libro Isis segreto, pubblicato dai due cronisti de Il Giornale Matteo Carnieletto e Andrea Indini, per portare un po’ di luce nell’angolo buio in cui è stato relegato il nuovo spauracchio dei media. È solo un anticipazione: nei prossimi giorni potremmo anche sorprendervi. Stay tuned.
Ci vogliono meno di dodici ore per riuscire a trovare i contatti per volare in Siria e combattere al fianco degli jihadisti.
Lo strumento più comodo e rapido è Facebook: basta crearsi un profilo, scegliere un’immagine che richiami la rivoluzione anti-Assad, iniziare a aggiungere agli amici qualche persona che sia stata in Siria come cooperante (Greta Ramelli, eg) e il gioco è fatto. In pochissimo tempo si è invasi da una marea di richieste di amicizia.
Sono perlopiù uomini che, forse ingannati dalla mia foto profilo (un’immagine delle cooperanti italiane Greta Ramelli e Vanessa Marzullo), cercano relazioni sul web. Spesso mi viene chiesto se sono disposto a fare “cam”, una maniera nemmeno troppo fine per chiedermi di spogliarmi. Inizio a chattare. Tutti chiedono se sono musulmano. Sembra essere una caratteristica necessaria per continuare la conversazione. Le richieste di amicizia continuano a fioccare. Bandiere nere jihadiste, donne in niqab che impugnano il mitra.
Mi contatta un ragazzo siriano. Odia Assad, lo chiama “scimmia”. Lo incalzo: gli dico che vorrei raggiungere la Siria, se non per combattere, almeno per aiutare la popolazione. Mi dice di no. Quando gli chiedo il perché usa una sola parola: “war”. C’è la guerra. Mi ripete: “Non venire in Siria”. Lo rassicuro e lui mi ringrazia. Apprezza la mia “sensibilità”.
Guardo le immagini di profilo delle persone che mi hanno aggiunto. Molto spesso sono riprese dai siti di propaganda jihadista e raffigurano uomini vestiti totalmente in nero, armati di pistole o mentre imbracciano un kalashnikov. Spesso vengono scelte le foto dei capi dello Stato islamico: al Baghdadi, innanzitutto, ma anche il suo portavoce e braccio destro, Sheych Adnani. Mentre chatto – e sono passate circa cinque ore – mi scrive, penso che raggiungere la Siria non è poi così semplice.
Contatto “il servo ribelle Al-Mujahed”, un altro siriano. Dopo i primi convenevoli, provo a inquadrarlo. Non che ci voglia molto: le sue immagini di profilo e di copertina lo ritraggono con un kalashnikov. Mi spiega chiaramente che è uno jihadista, che combatte per la sua nazione, la Siria, e che così dovrebbero fare tutti i buoni musulmani. Rilancio: gli dico che anche io sono un musulmano. Un musulmano italiano che vorrebbe raggiungere quanto prima la Siria per combattere il jihad. Ed è ora che il “servo ribelle” mi sorprende. Mi dice “ti aiuto”. Mi consiglia di abbandonare quanto prima l’Italia e di prendere un aereo per Istanbul per poi di spostarmi verso il confine tra Turchia e Siria. Mi dice: “arriva a Hatay, lì ti verremo a prendere per poi portarti in Siria. E qualcosa di vero, penso, deve esserci se l’aeroporto di Hatay, nel 2012, quindi nell’anno in cui è iniziata la guerra civile, ha registrato un +11,6% di passeggeri stranieri. Una sfortunata coincidenza o è davvero questo lo scalo dei foreign fighters che vogliono raggiungere la Siria? “E le armi?”, chiedo al “servo ribelle”. Lui mi rassicura: “Abbiamo tutto”. Mi saluta. Gli dico che lo aggiornerò sul mio viaggio. “Insciallah”, mi risponde.
Se Dio vuole.
Matteo Carnieletto e Andrea Indini
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