Ultime notizie

IMPRESA E COMUNITÀ

Un matrimonio che s'ha da fare

Nel ragionamento politico di oggi pare proprio non si riesca a fare a meno di alcuni automatismi, luoghi comuni che puntualmente conducono il pensiero su binari predeterminati andando a minare alla base ogni possibilità di immaginare alternative credibili e costruire soluzioni efficaci. Fra questi meccanismi ve n’è uno particolarmente odioso che riguarda l’eterno dibattito sulla dicotomia individuo/società: se da un lato è infatti assolutamente positivo che prendano piede solide critiche all’impianto ideologico liberale e ai suoi presupposti individualisti, dall’altro desta non poca perplessità il continuo scadere in tesi che guardano con sospetto ad ogni forma di imprenditorialità, quasi a voler riscontrare nel fare azienda il peccato originale di ogni male sociale. Ciò che riscontriamo è che fra questi due falsi antipodi ideologici trionfi in realtà un’unica visione, quella del singolo pensato in contrapposizione alla comunità.

Sia il liberale che ripete come un mantra rassicurante che lo stato dovrebbe occuparsi unicamente di sicurezza, sia il collettivista che scambia per liberismo ogni tentativo di impresa privata, ricadono infatti nell’automatismo che vorrebbe impossibile conciliare gli interessi del singolo con l’equità sociale. Questo sarebbe vero solo in un caso specifico, quello di un contesto privo di identità comunitaria e di appartenenza popolare. Il fatto che oggi ci si trovi in una società di questo genere non giustifica l’incapacità di saper guardare oltre, evitando di ripetere l’errore che si vorrebbe correggere: sarebbe infatti altrettanto impensabile ricostruire una comunità, che è il nostro obbiettivo dichiarato, partendo dal presupposto che il singolo debba annullarsi nell’interesse del tutto. Il compito più autentico di una comunità dovrebbe infatti realizzarsi nel valorizzare le inclinazioni e le capacità personali di chi vi appartiene, conciliando le aspirazioni delle persone con le aspettative e gli equilibri del gruppo.

Elemento centrale della nostra riflessione è la persona, intesa certamente non come individuo atomizzato e slegato da ogni responsabilità verso il territorio e la popolazione da cui proviene, ma piuttosto come uomo o donna che mettendo le proprie caratteristiche a disposizione di un progetto comunitario si realizza anche in quanto entità singola. La grande sfida insomma non è certo abbattere le aspirazioni personali, ma creare invece un nuovo sfondo culturale che sensibilizzi e crei vincoli di responsabilità verso la comunità di appartenenza, secondo una logica identitaria attiva. In quest’ottica è però fondamentale che l’azienda impari a concepirsi sotto nuove vesti e soprattutto che un numero significativo di imprenditori aderisca al progetto identitario europeo, iniziando a sviluppare una prima rete solidale di imprese che incarnino questo tipo di cultura.

Ciò che d’altronde non può più essere tollerato è il continuo tradimento degli interessi nazionali che viene operato sotto infinite forme, di cui la svendita di settori industriali strategici e la delocalizzazione sono di certo fra le più odiose e troppo spesso ingiustificate (se non da una logica meramente individualistica). Insomma, se il nostalgismo per l’unione sovietica ed il marxismo applicato lo lasciamo volentieri ad altri, ci preme comunque sottolineare come siano in atto derive che  mettono in discussione il senso stesso dell’esistenza di un paese e di uno stato: questo non può essere semplicemente inteso come guardiano silente (di cosa poi? Delle frontiere che stiamo scelleratamente cancellando?), ma piuttosto come arbitro e conciliatore degli interessi delle parti sociali, oltre che come promulgatore di valore etico.

Hegel sosteneva appunto che la società civile è una componente irrinunciabile di ogni popolo, ma ha il grande problema di creare sistematicamente problemi che non è in grado di risolvere da sé stessa: proprio da questa necessità di sintesi e di riconciliazione comunitaria nasce lo stato. Se quindi uno stato non è  portatore sano di identità la società finisce inevitabilmente per scomporsi negli interessi di classe, invece che aggregarsi negli interessi di popolo. Dove c’è identità ed appartenenza si può, al contrario, incentivare un’attività imprenditoriale responsabile, portatrice di benessere e di valore per la comunità intera.

Daniele Frisio

Rispondi

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: