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Se volete far la rivoluzione, dovete innanzitutto figliare come conigli

Crisi e declino demografico

Al 31 Dicembre 2013 la popolazione italiana è di quasi 61 milioni di persone, con una densità demografica di 200 persone per chilometro quadrato, più alta della media europea. Partendo dai 22 milioni di abitanti ai tempi dell’Unità, la crescita demografica è stata costante fino agli anni ‘80, soprattutto in corrispondenza del boom economico. Dal 1981 al 2001 conosciamo gli anni della crescita zero, del sostanziale pareggio tra natalità e mortalità, periodo che termina nel nuovo millennio in virtù dell’aumento dell’immigrazione nel nostro Paese.

Sotto il profilo demografico, il tasso di natalità resta bassissimo, il numero medio di nascite per donna è stimato a 1,42 e non arriva quindi al livello di sostituzione delle coppie, pari al 2,1. Analizzando i dati, possiamo notare come questo livello venga superato abbondantemente dalle donne straniere (2,37) a differenza delle italiane ferme al 1,29. Tutti questi punti sono praticamente identici da Nord a Sud, il fenomeno può quindi essere letto in chiave nazionale.

Quello che salta subito agli occhi è che non vi sia da parte dello Stato e dei governi la reale volontà di mettere in campo iniziative a supporto dell’espansione demografica del Paese, nonché una forma di promozione volta ad incrementare la natalità: pare evidente piuttosto un forte disinteresse mascherato da qualche slogan in date precise (festa della mamma, festa del papà..), anzi persino questi réclame vengono ormai confinati in qualche pseudo convegno fine al nulla. Di politiche per la famiglia, concrete ed immediate non v’è traccia, incentivare la crescita del tasso di natalità significa: asili nidi per tutti, bonus bebè, nessun rischio per la donna di perdere il lavoro nel periodo di maternità; togliere la paura. Le manifestazioni per la famiglia vengono quotidianamente tacciate e considerate omofobe, sono altre evidentemente le priorità dei giorni nostri.

Il problema è anche culturale e intrinseco nella nostra società: da tantissimi anni, non si vedono più i figli come una risorsa e la più grande istituzione della storia: la famiglia, vive un periodo di fortissima crisi identitaria. I figli come problema, i figli come problema economico; perché tutto inizia e finisce lì, in questa società che vive sul mercato. È un mondo senza fiducia, manca la fiducia: nel proprio coniuge, nelle future generazioni, nelle persone, nelle idee, nel tempo, nella vita. Siamo passati dal diritto alla vita alla ideologia della vita, prima si terminano gli studi, si trova un lavoro a tempo indeterminato, una casa, ci si sistema, poi quando una mattina ci si sveglia e davanti allo specchio si iniziano a vedere i primi capelli bianchi, e la relazione inizia a subire i primi tentennamenti, forse è quello il momento. Si inizia a progettare un figlio e nel frattempo si fa in tempo a separarsi, con il “divorzio breve” ovviamente.

Nelle donne straniere, nel retaggio culturale degli immigrati, resta ancora forte l’importanza della famiglia, come ultimo baluardo di tradizioni distanti chilometri, il nucleo famigliare come difesa nel nuovo Paese. Il popolo occidentale è ormai assopito, si calcola che nel 2100 gli europei saranno solo 1/10 della popolazione mondiale, destinati a scomparire.

di Francesco Locatelli

(tratto da http://www.lintellettualedissidente.it)

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