Uccidi l’individuo che c’è in te
Il liberalismo è il primo ostacolo per il ritorno alla comunità
Quando si vogliono presentare i valori alle radici della civiltà Occidentale, una delle prime cose che oggi si tende a sottolineare è la parte svolta dall’Occidente nella formulazione e nello sviluppo della moderna concezione di individuo[1]. Che tale concezione, almeno per come si è sviluppata negli ultimi secoli, abbia avuto un peso decisivo a livello globale per gli sviluppi della società è certamente vero, ma proprio per questo io ritengo che se oggi si vuole ripensare il rapporto fra individuo e comunità, sia necessario rimetterla in discussione: è un’urgenza che nasce certamente dalle grandi questioni sociali dell’attualità, ma le cui radici dobbiamo rintracciare sul piano delle idee, di cui le problematiche che ci coinvolgono sia materialmente che spiritualmente non sono che il risultato.
In questo senso ritengo che la battaglia che va condotta oggi sia anzitutto di natura ideologica: non possiamo pensare di cavalcare la tigre del crescente malcontento che va sviluppandosi in Europa, se prima non comprendiamo chiaramente quali siano le radici del problema e quali gli obbiettivi da porsi. Penso che il fallimento di movimenti come il cinque stelle, siano esattamente il risultato di questo vuoto a livello ideologico. Ecco quindi che diventa fondamentale combattere alcuni dogmi ormai dati per assodati dall’ideologia dominante, prima ancora di lanciarsi in avventure politiche senza solide basi culturali.
Credo che nella costituzione dell’ideologia che oggi domina l’Occidente forse non vi sia stata un’influenza più forte di quella esercitata dal liberalismo moderno, quella ideologia cioè che non solo è l’unica sopravissuta alle vicende novecentesche, ma ne è anche emersa come assoluta trionfatrice, tanto che oggi viene presentata come l’unica veramente degna di rispetto. In effetti oggi la storia della civiltà Occidentale tout court viene rappresentata dall’intellighenzia culturale come una sorta di grande preparazione al momento decisivo in cui finalmente l’individuo si è emancipato, cosa per altro tipica di ogni ideologia che rappresenti se stessa: “non c’è mai stata così tanta libertà”, “non abbiamo più le guerre”…insomma “tutto sommato non potremmo vivere in un mondo migliore di questo”. Naturalmente il fatto che oggi non vi siano più in campo altri concorrenti ideologici, ha condotto inevitabilmente a risultati paradossali nell’interpretazione della storia del pensiero occidentale: non dobbiamo quindi stupirci se Platone viene riletto come un precursore della libertà politica (o alla Popper come un antico mostro totalitario), Marx come un povero scemo e Adam Smith come la Bibbia.
In realtà, quello che il pensiero dominante vuole farci scordare è che l’Occidente è stato anche e soprattutto altro. La prima cosa da fare quindi è recuperare tutti quei pensatori che oggi sono passati di moda e parallelamente incrinare alcuni miti della contemporaneità. In questo primo articolo vorrei partire, come insegna Socrate (mica uno qualsiasi), proprio dalla pars destruens, concentrandomi su uno dei principali assunti del liberalismo: ovvero che l’uomo sia anzitutto un individuo e solo in seconda battuta un membro della società. L’idea originaria è che gli uomini si trovino inizialmente come singoli e che successivamente si aggreghino in società per garantirsi una maggiore sicurezza e probabilità di sopravvivenza, da qui poi la necessità di darsi delle regole comuni e il sorgere della legge.
I primi sviluppatori di questa idea sono stati i contrattualisti (dal contratto che viene appunto stipulato fra i consociati), su tutti Thomas Hobbes, John Locke e Jean Jaques Rousseau, ma la sua fortuna ha attraversato la storia del pensiero ed ancora oggi viene presentata sostanzialmente invariata nei suoi punti cardine da autori del calibro di J.Rawls, uno dei principali filosofi politici contemporanei nonché tra i massimi esponenti del pensiero liberale. Infatti pur non essendo di per sé appartenente alla tradizione liberale, il suo ideatore Thomas Hobbes fu appunto un sostenitore della monarchia assoluta, questa idea spianò la strada al nascente liberalismo: alla base infatti vi è il rifiuto dell’assunto aristotelico di uomo come animale sociale (che aveva dominato fino a quel momento la filosofia politica occidentale), sostituendovi quella di individui separati ed in concorrenza tra loro. Naturalmente il contrattualismo si muove su un piano puramente teorico, il mondo “pre-societario” è un’astrazione funzionale, non una realtà storica. Funzionale ad immaginare le leggi migliori che potrebbero darsi individui per regolamentare la propria vita associata.
E qui casca l’asino. L’individuo si rivela per quello che è: pura astrazione. La dimostrazione? Nessuno può sopravvivere senza gli altri, tutti noi abbiamo bisogno della cura di qualcuno se non altro nei primi anni di vita. Tutti noi siamo stati generati da un padre e una madre, siamo quindi già connessi e in parte determinati dagli altri fin dal nostro concepimento. Non solo: se proprio vogliamo immaginare un mondo antecedente alla legge scritta, dal momento che i nostri antenati vivevano in branchi (basti guardare a tutte le famiglie di scimmie esistenti sul pianeta), non sarebbe più lecito immaginare che un tale legge sia la trasposizione di fatto di regole già esistenti nella vita animale?
In questo senso preciso la società precede e fonda gli individui e non il contrario. Non sono gli uomini singoli a mettersi insieme per creare la società, ma è piuttosto sempre a partire da una società che l’uomo può individualizzarsi. Una precisazione: questo vuol dire che noi non possiamo concepirci come singoli? Ovviamente possiamo farlo, ma dobbiamo sempre tenere presente che la dimensione sociale ci precede e proprio per questo secondo me dovremmo abituarci a parlare in termini di “persona” e non di “individuo”. Persona è un concetto meno astratto e al contrario di “individuo” non è un momento che si configura come antitetico alla società, ma piuttosto vi si concilia come sua parte. Noi siamo persone ed in quanto tali abbiamo una storia, una storia che ci lega fin da subito agli altri.
Daniele Frisio
[1] Da notare poi che specie quando è l’Occidente a presentare se stesso, questo messaggio è immancabilmente accompagnato da una certa retorica (più o meno esplicita) attorno al fatto che se oggi la nostra idea di individuo è entrata a far parte di un comune bagaglio dell’umanità, dobbiamo essere grati proprio al ruolo storico che l’Occidente avanzato ha giocato in un mondo arretrato e barbaro. Da questo punto di vista sarebbe interessante chiedere un’opinione ai primi colonizzati: siamo sicuri che le risposte sarebbero senza dubbio molto istruttive.
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