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Volete Letta o Renzi?

Il bello della politica è che, nel momento in cui se ne discute con conoscenti e sconosciuti, la vera palma della vittoria non è appannaggio di chi più riesce a convincere l’interlocutore, o di chi meglio riesce a rendere la situazione attuale, ma di chi più sapientemente riesce a prevedere lo scenario futuro.

A maggior ragione, ora so di aver fatto bene a riconsegnare la tessera e rimettere il mio mandato elettorale: le mie parole dopo la nomina di Enrico Letta a Palazzo Chigi erano state pressappoco “Questo qui, i cinque anni, se li fa tutti”. In questi giorni, di fronte all’evidenza, non mi capacito di come la mia abbagliante profezia possa essersi rivelata un clamoroso flop.

Enrico Letta aveva tutte le carte in regola per dirigere stabilmente un governo nato da una situazione che sarebbe riduttivo definire “grottesca”: legami di sangue con lo schieramento opposto (che quindi ha contribuito a tenergli in piedi la baracca), l’immagine di persona seria e politico estraneo alle logiche destra-sinistra e pro-contro Berlusconi ed una conoscenza puntuale del manuale Cencelli, che, applicato alla lettera, gli ha permesso di gestire sapientemente un gabinetto per sua natura inedito nella storia della Seconda Repubblica. Aveva anche quella pelata rassicurante, il tono di voce pacato, gli occhialoni da ragioniere e una retorica chiara (senza i bruschi climax da sindacalista, il dito perentorio di Grillo, le ridicole frasi fatte di Bersani o le barzellette licenziose di Silvio, ma neppure i periodi senza senso di Vendola o i comizi in poltrona di Prodi).

Enrico Letta non ha mai detto una parola di troppo, ma è sempre stato esauriente: ha convocato conferenze stampa in cui ha esposto chiaramente quali fossero i problemi, come sarebbero evoluti (la versione professionale del videogioco di Tremonti) e quante tasse avremmo dovuto pagare per risolverli. In certi momenti, ho avuto la sensazione di essere governato dal mio commercialista.

Malgrado tutto il male che gli voglio, devo dire che Re Giorgio (o chi per lui) ha scelto proprio bene il premier, in circostanze in cui la “stabilità” era tutto e solo ciò che ci chiedeva l’Europa (o chi per essa). Io all’inizio ero molto scettico: ve lo ricordate quand’è andato da Napolitano con l’Ulysse? Che pacchianata ipocrita: mancavano solo le tendine parasole a forma di orsetto, le biciclette dei figli nel bagagliaio e l’adesivo della Sardinia Ferries, maddài… Poi, però, mi sono ricreduto e ho imparato a voler bene a Letta (comunque odiando a morte la sua compagine ministeriale). Adesso che lo hanno fatto fuori come un Röhm qualsiasi, mi è salita la bile.

Sì, perché se Letta era ridicolo mentre scalava il colle a bordo del suo Ulysse – fedele compagno di viaggio in decine di vacanze per lui e la sua discreta famiglia – Renzi che si reca a Palazzo Chigi a bordo di una Smart è a dir poco irritante, incarnando lo stereotipo del rampollo di ricca famiglia che va giocare a calcetto ma si fa la doccia a casa per uscire prima e non dover riaccompagnare gli amici non motorizzati.

Ora mi chiedo questo Renzi da quale cilindro sia uscito, perché, ok, le primarie e le controprimarie le abbiamo viste tutti, ma la mia mamma mi ha sempre detto che Renzi ha la gente dalla sua e la dirigenza contro. Quindi com’è che, quando tocca alla gente, prende il 68% e, quando tocca alla dirigenza, si becca 136 voti su 154? Perché il PD ci sottopone a questi bruschi cambi di strategia? Cos’è cambiato in dieci mesi? Cui prodest? È perchè lui è di Pisa e il segretario PD di Firenze?

A me avrebbe fatto piacere almeno un po’ di preavviso, in modo da vedere qualche sondaggio, capire cosa la gente ne pensasse; ovviamente l’ideale sarebbe stato un bel palco, con Re Giorgio, appoggiato alla balaustra, a chiedere al volgo chi volesse, tra Letta e Renzi.

E invece no.
Motivo per cui il Talebano oggi è a Roma a urlare Vogliamo Barabba.

Walter Quadrini

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