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Ambiguità femminile

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L’uomo è diretto, la donna trasversale. L’uomo è lineare, la donna serpentina. Per l’uomo la linea più breve per congiungere due punti è la retta, per la donna l’arabesco. L’uomo è razionale, la donna no. L’uomo approccia la realtà con l’attitudine del cronista, la donna con quella del romanziere: sfuma, allude, sottende. Nella donna, come nel romanzo, il non detto è più importante del detto.

Lei è insondabile, sfuggente, imprevedibile. E l’eterno femminino. L’ambiguità costituisce la fonte inesauribile del suo fascino ma anche il principale motivo della perenne e irrimediabile incomprensione fra i sessi. Al confronto con la femmina il maschio è un bambinone elementare («Ricordati che in ogni uomo c’è un bambino che vuole giocare» dice Nietzsche) che lei, a parità di condizioni, si fa su come vuole. A meno che non sia veramente innamorata. Perché la donna è un essere totale, capace quindi anche di una dedizione totale. In questo caso il suo masochismo sessuale, in genere compensato ad abundantiam dalla sua vitalità naturale, diventa masochismo tout court e lei può davvero farsi vittima senza difese e fino alle estreme conseguenze. La storia di Adele Hugo, la figlia dello scrittore, così splendidamente raccontata da Truffaut, è un paradigma di questa capacità di annichilimento. Solo le donne sanno sacrificare con naturalezza, quasi con noncuranza, la vita per il proprio uomo (Claretta Petacci ed Eva Braun ne sono due famosi esempi storici). Anche l’uomo può sacrificare la vita per l’amata e persino per un estraneo (questo la donna non lo farebbe mai, è troppo contrario ai suoi istinti vitali), ma lo fa, quando lo fa, per mantenere un certo concetto di sé, per orgoglio, per dovere sociale («prima le donne e i bambini») e ha bisogno quindi di un atto di volizione, di un atto eroico. Obbedisce a una regola, a un imperativo morale. La donna lo fa per istinto. Per l’uomo è molto più difficile, è un atto di coraggio, se il vero coraggio non è la temerarietà o l’incoscienza ma la capacità di superare, con la volontà, la paura.

Di fronte alla morte, come al dolore, l’uomo è infatti, in partenza, molto più vile della donna, perché ne ha più paura. Per il maschio la morte è precipitare nello spaventoso Nulla da cui è venuto, per la donna è ricongiungersi alla Terra, a Gea, alla Grande Madre, a se stessa. Questa capacità di dedizione totale al proprio uomo che appartiene, in certe occasioni, alla donna non va confusa con la generosità. E una forma di masochismo sublimato nell’amore. Ma nella quotidianità e nella normalità la donna è tutt’altro che generosa. È, al contrario, gretta, micragnosa, meschina, piccina, attentissima al “do ut des”. L’uomo vive nell’astrazione, la donna nella concretezza. Ciò non significa però che conosca il principio di realtà. Segue semplicemente i propri istinti. Per cui può capitare che, come una falena impazzita, vada a sbattere contro il vetro della finestra e si estenui nel cercare di sormontare o di aggirare l’ostacolo impossibile. Ma la sua forza è tale che può persino riuscire, violando tutte le leggi della razionalità, ad abbatterlo.

Che questa sia un’epoca femminea, o quantomeno unisex, lo dice anche il fatto che l’uomo ha perso le proprie caratteristiche di linearità, di dirittura, di franchezza, di lealtà e quindi di virilità. E diventato ambiguo come una donna. Parla con lingua biforcuta, raggira, tende trappole e tranelli. Non rispetta più le regole, la norma, non conosce o non riconosce più la logica, il principio di non contraddizione, ha perso il senso del diritto e della giustizia (cui la donna è refrattaria, per lei non esiste regola che possa avere valore superiore ai propri istinti vitali). L’uomo sta cioè abbandonando il mondo artefatto che lui stesso si era costruito, senza per questo poter ritrovare quello naturale. Siamo di fronte a uomini femminilizzati e a donne maschilizzate, che dall’uno e dall’altro sesso hanno preso solo il peggio. Siamo diventati tutti degli omosessuali.

(tratto dal Dizionario erotico, di Massimo Fini)

1 Comment on Ambiguità femminile

  1. non posso che essere d’accordo.

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