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Lega, (ri)alzati e cammina!

#ritorno al futuro

Domenica la Lega ha festeggiato l’anniversario del 15 settembre 1996, data in cui lo storico leader Umberto Bossi aveva proclamato la nascita della Repubblica Federale della Padania, coronando – con quella roboante dichiarazione d’indipendenza – l’ascesa in termini di consenso del progetto indipendentista. Dal 1996 ad oggi quasi un ventennio è trascorso e tutto è cambiato. Tutto. Si pensi che era passato solo qualche anno dalla caduta del Muro di Berlino, l’Unione Europea che oggi viviamo era poco più che un’elucubrazione e dell’Euro non vi era ancora ombra. Insomma, cambiata Era, cambiati i contesti e le istanze, debbono cambiare i progetti, pur mantenendo i valori. Pena l’anacronismo.

Il secessionismo, sul popolo, non ha più presa. Semplicemente perchè Roma non è più il centro del potere, ma periferia subordinata. E non è una peculiarità nostrana, bensì una comune di tutte le capitali d’Europa, di tutti gli Stati nazionali. Non può più scaldare il cuore staccarsi da Roma per creare una nuova Roma, ora che – tanto si sa – la sola capitale, il solo centro decisionale è Bruxelles… o Strasburgo… o la sede centrale di qualche banca internazionale. Non vi è più il cittadino, sostituito dal consumatore, sballottato di qua e di là nel gioco domanda-offerta tipico del mercato, dentro al quale risulta alla fine impotente. Non vi è più il cittadino, sostituito dalla banconota, sulla cui stampa lo Stato nazionale non ha ormai più voce in capitolo.

L’indipendentismo ha presa tutt’oggi. Anzi, soprattutto oggi, come dimostrano le dinamiche elettorali in giro per l’Europa. Ma assume un connotato diverso: di rivendicazione di sovranità, quella sovranità che via via i governi nazionali hanno ceduto all’UE. La battaglia – sacrosanta – indipendentista consiste nel riprendersela. La Lega deve però avere la sapienza di sfruttare quella macroregione su cui tanto si è spinto in campagna elettorale e che, una volta fatta, è sparita dall’ordine del giorno. La Lega deve unire Piemonte, Lombardia e Veneto per costruire una comunità territoriale in grado di attuare da sè quelle decisioni politiche ed economiche che lo Stato centrale non è più in grado di compiere. Ridefinendo da sè le proprie alleanze transnazionali, le strategie geopolitiche, i percorsi macroeconomici. Maroni, ora governatore, ha lo strumento politico e amministrativo per farlo, partendo da quei progetti come la moneta locale, il chilometro zero, la valorizzazione della produzione locale… iniziative teorizzate dalla Lega e ora accantonati.

La Lega ha un’opportunità: il vuoto creatosi in quell’area impropriamente definita Destra. Impropriamente, perchè destra e sinistra sono ormai concetti morti e sepolti. Vuoto, perchè annientato – da una parte – dall’anacronismo reazionario/nazionalista e – dall’altra – dal fervore progressista di finiana memoria. Quest’area identitaria e tradizionalista rimasta orfana (non certo il mondo del progressismo globalista della sinistra o il liberalismo filo-capitalista) è l’humus ideale per il movimento leghista. Che non può prescindere dall’essere – appunto – identitaria e tradizionalista, per dare compiutezza al progetto di cui sopra. La creazione di una comunità indipendente ha un senso soltanto se assume caratteristiche differenti dallo status quo. Non serve una nuova nazione, più piccola e sempre schiava di tecnocrati, denaro, produttivismo, finanza e lassismo etico. Serve una Patria, un’alleanza di popoli che recuperi i valori tradizionali di uomo, famiglia e comunità.

La Lega si accinge in inverno ad un cambio di leadership, che verosimilmente e speranzosamente consegnerà a Salvini il timone del movimento. A lui il compito ed il dovere morale di guidarlo verso un ritorno al futuro.

Vincenzo Sofo

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