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Anziani, costo o risorsa?

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In molti Paesi dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina si riscontrano gravi problemi in relazione all’eccessivo tasso di popolazione giovane e del suo costante aumento. Al contrario nei Paesi occidentali si evidenzia il problema opposto, ossia il continuo aumento della popolazione anziana. Innanzi a questo dato si potrebbe pensare che la nostra società sia costruita e orientata in favore degli anziani, ma sarebbe un grosso errore: la mentalità dominante è infatti di tipo giovanilistico ed è per l’appunto nella giovinezza che si individuano i valori a cui ispirarsi, quali la produttività, la velocità, l’efficienza; questo conduce all’ageism, termine sociologico per indicare la discriminazione nei confronti delle fasce di età avanzata.

A parte pochi privilegiati per reddito, cultura e salute che, di conseguenza, occupano una posizione dominante nella scala sociale, la maggior parte degli anziani vive una situazione di abbandono, invisibilità, emarginazione o, in una parola, citando il famoso sociologo Niklas Luhmann, esclusione. Vi sono dunque decisioni che vanno prese in fretta e che partono da considerazioni ovvie, come il fatto che il nostro sistema non potrà reggere a lungo questa situazione. La crisi è grave e in aumento, le famiglie sono spaventate per il futuro dei figli che, come ci dicono i dati, sono “bloccati” nella casa d’origine, senza la possibilità di crearsi un futuro e privati di molte speranze. La crisi occupazionale è in continuo aumento e la risposta del governo è quella di aumentare l’età per andare in pensione.

Questa grande conquista ottenuta dalla nostra società, la pensione, rappresenta sicuramente un diritto irrinunciabile per ogni Stato che voglia attualmente chiamarsi civile, ma va considerato che al pensionamento sono collegate alcune problematiche di ordine psicologico, economico e sociale. Per esempio, per il neopensionato lasciare il proprio posto di lavoro rappresenta spesso la perdita di rapporti sociali e il cambiamento di abitudini protratte negli anni e si accompagna a una sensazione di “inutilità sociale”. Accanto a questi aspetti si aggiungono problemi di carattere economico, in quanto il reddito diminuisce di un 30/40%. Anche se non esiste una ricetta di tipo universale che permetta alle scienze sociali di intervenire nelle diverse situazioni e nei differenti contesti sociali, è pur vero che l’aumento dell’età pensionabile non sia la soluzione ottimale per risolvere queste problematiche. Eppure la questione degli anziani è urgente e complessa e la violenza sottile attuata contro di loro è una delle più diffuse della nostra società, connotata dal cambiamento costante di gusti e opinioni e che tende all’esclusione di chi non è rapido ad adeguarsi ai cambiamenti dettati dal “progresso”.

Ritengo quindi che sia arrivato il momento di includere i soggetti pensionabili in un nuovo patto tra Stato, aziende e lavoratori. L’idea è semplice: la persona in procinto di andare in pensione potrebbe scegliere di continuare a lavorare ma svolgendo metà dell’orario di lavoro previsto, con una retribuzione maggiore del corrispettivo della pensione maturata, senza che l’azienda debba pagargli i contributi. Le restanti ore di lavoro verrebbero compensate dall’assunzione di un giovane che andrebbe ad affiancare il dipendente più anziano, pagato con la somma risparmiata dal mancato pagamento dei contributi del lavoratore pensionabile. I vantaggi? Lo stato risparmierebbe sulla pensione, il lavoratore anziano resterebbe attivo, riceverebbe una somma maggiore di quella da pensionato e l’azienda non subirebbe la mancanza di una persona esperta durante il passaggio di consegne ad un giovane lavoratore. Si contribuirebbe inoltre a diminuire la disoccupazione giovanile dando la speranza di un futuro migliore a giovani e famiglie. Tutta la società ne trarrebbe vantaggio.

Questa soluzione inoltre, praticabile con pochi interventi, offrirebbe una possibilità di inclusione a persone che altrimenti sarebbero estromesse dalla società e contribuirebbe a diminuire le problematiche relative alle malattie derivanti dalla solitudine: infatti una della prime cause di malattia degli anziani è proprio l’esclusione sociale, causa di un esponenziale aumento delle spese socio sanitarie, che costituiscono un ulteriore peso sulle casse dello Stato e dei cittadini.

La prevenzione è la migliore cura, questa certezza va applicata anche a coloro che si accingono ad entrare nella terza età; prendendo spunto da quanto avviene in altri Paesi, dobbiamo assolutamente iniziare a lavorare per integrare le attività di tutti, creando gli spazi sociali specifici nei quali gli anziani possano incontrarsi e vivere una vita felice; se è vero che l’investimento iniziale ha dei costi è altrettanto vero che nel medio periodo l’impatto sulla spesa pubblica relativa a sanità e anziani diminuirebbe costantemente: l’integrazione sociale dimostra, senza dubbi, che l’inclusione ad una vita “normale”, fatta in primis di attività sociali, diminuisce fortemente le spese sanitarie per gli anziani. Tutti i dati lo confermano e i Paesi del nord Europa da anni si muovono in questa direzione. In Italia, al contrario, sembra che si stia puntando tutto sulle assicurazioni private, un errore che pagheremo caro. Infatti, se è vero che in molti ritengono che lo sviluppo delle assicurazioni private sia una delle principali soluzioni al “problema”, la maggior parte degli studi concordano nel constatare che esse debbano essere solo di tipo integrativo ad un sistema efficiente organizzato dallo Stato. Lo stesso OCSE è recentemente intervenuto smontando definitivamente l’idea delle assicurazioni private come soluzione per diminuire la spesa pubblica in relazione alle politiche sociali per gli anziani.

Purtroppo le recenti scelte dello Stato in materia di finanza pubblica hanno invece particolarmente penalizzato i servizi per gli anziani non autosufficienti, con dati allarmanti. Le responsabilità di queste scelte scellerate vanno ripartite tra i precedente esecutivi che hanno ridotto del 92% i fondi dello Stato dedicati alle politiche sociali, delle quali gli anziani costituiscono il più ampio gruppo. I finanziamenti per i servizi sociali sono passati da 2526 milioni di euro annui (2008) a 200 (2013). Tra le diverse linee di finanziamento per il sistema sociale ve n’era una dedicata alla non autosufficienza (il fondo nazionale per la non autosufficienza, 400 milioni nel 2010), che oggi non esiste più.

Come dicono i buddisti, l’uomo deve misurarsi con tre condizioni pressoché invincibili: la malattia, la vecchiaia e la morte. La nostra società ha sicuramente aumentato le problematiche “invincibili” e se l’anziano, in un recente passato, aveva un ruolo fondamentale nella famiglia, oggi viene allontanato anche da questa privandolo così definitivamente della sua dignità. Muoversi verso l’anziano rappresenta dunque una crescita culturale, oltre a un ritorno al “naturale”.

Fabrizio Fratus

1 Comment on Anziani, costo o risorsa?

  1. valentina Pucci // 14 Giugno 2013 a 08:25 // Rispondi

    Il problema e’ ben centrato dall’articolo, un po’ troppo semplicistica la proposta. Le questioni sono due: assistenza sanitaria e non( e questa se ben strutturata e nin lasciata a generiche badanti puo’ essere una risorsa lavorativa per molti in cerca di lavoro)
    Cultura : un paese di vecchi e’ culturalmente un funerale e questo ha ricadute in ogni settore dalka crisi politica che stiamo vivendo all’ingessamento del paese in una mentalita’ retrogada.

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