Destra, se ci sei, batti un colpo! (e abbandona i vecchi cialtroni)
Che fine ha fatto la Destra? Nel 1994, all’inizio della seconda Repubblica, la Destra aveva un grande futuro davanti a se: si prospettavano anni di cambiamento, di radicale inversione a livello culturale, una revisione totale di pregiudizi e grossolane nefandezze sulla storia. Una nuova Italia stava nascendo. Al contrario, la Destra, è sprofondata in se stessa, si è autodisgregata e – affetta da personalismi e affarismo – ha abbandonando tutti i valori in cui credeva per divenire un partito neoborghese senza futuro, fino a scomparire.
In Italia vi è una mentalità diffusa a sostegno della cultura di Destra, un senso di appartenenza a valori che provengono dalla storia millenaria della nostra penisola. Vi è un senso di tradizione forte, sviluppatosi e perpetuato grazie alla Chiesa Cattolica, nel bene e nel male. Molti hanno nutrito (e nutrono tuttora) la speranza che nel sentimento italiano tornassero il senso dello stato, il valore della tradizione, il primato della comunità, la meritocrazia, un forte principio di sovranità, il recupero dello stile come esempio di condotta di vita, una concezione nuova del senso civile e della cultura.
Nessuno ha però mai creduto che l’apparente sdoganatore delle idee di Destra, Silvio Berlusconi, potesse realmente farsi carico della promozione di temi che sino a quel momento erano rimasti all’angolo della politica. Ne’, a conti fatti, tali valori sono riusciti a rappresentarli i partiti che negli anni si sono autoproclamati “case della Tradizione”. Ma, se la Destra non esiste più, chi ha ereditato i valori della tradizione, dell’appartenenza, della meritocrazia, della comunità? Quale può essere il punto di riferimento politico per continuare a portare avanti questa visione della società?
La Lega, che non è un movimento di Destra, ha in se tutti i requisiti per essere un riferimento ideologico e culturale degli orfani del tradizionalismo, dell’identità, del merito. Certo, non gira per le strade di nero vestita e non ha quell’immagine paramilitare alla quale il popolo di destra è abituato. Ma è l’unico movimento rimasto a difendere concretamente il senso di appartenenza al territorio, con le proprie identità e tradizioni specifiche, secondo una visione tradizionale di comunità. Tutto ciò, in un contesto in cui la standardizzazione e l’omologazione globale sono ormai pacificamente accettate da tutti, da destra a sinistra.
E il nazionalismo? Il nazionalismo è un sentimento giovane ed è una risposta, giusta, al cosmopolitismo nato dagli illuministi nel ‘700. Il concetto di nazione, quindi, per coloro che provengono dalla cultura di Destra può essere abbandonato per un concetto più autentico e forte di patriottismo con riferimento alla loro terra tradizionale di origine. Un maggiore senso di appartenenza in cui anche il dialetto può divenire un collante sociale e comunitario. Restare ancorati ad un passato e ad una visione della vita ormai obsoleto (il nazionalismo) è sbagliato e senza senso.
In una “palude” di partiti, idee, capi branco, colonnelli e pseudo fascisti quello che rimane è la vergogna di non essere riusciti a compiere la rivoluzione culturale per una nuova Italia. Ben venga oggi il nuovo che avanza, la macroregione del nord nell’Europa dei Popoli.
Fabrizio Fratus
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