Macroregione del Nord: il futuro d’Italia e d’Europa
Ci sono dei momenti nella storia in cui, per avviare dei cambiamenti, è necessario forzare la mano, a costo di creare degli squilibri all’intero sistema. Il periodo che stiamo vivendo è uno di questi. Il 24-25 febbraio non sarà la solita tornata elettorale, con i soliti volti e la solita politica, ma è il punto di svolta per una scelta chiara e definita, una scelta per il nostro futuro.
Il sistema che si sta fondando, in Europa, è un sistema che vede il mercato internazionale sopra l’individuo e le banche sopra le imprese. Questo sistema ha avuto modo di esprimersi attraverso scelte governative che hanno visibilmente paralizzato le economie locali. Non bisogna essere laureati in Bocconi per capire che togliendo la liquidità dalle tasche dei consumatori, tutto il sistema economico si paralizza; non bisogna essere economisti per comprendere che un imprenditore non è più incentivato a tenere la propria impresa sul territorio nazionale, se sulle sue aziende pende il cappio di una tassazione fuori dal normale.
A fianco di queste operazioni, che colpiscono direttamente il cuore della società civile, sono schierati i principali media e la gran parte dell’intelligentia accademica e intellettuale, abilmente foraggiati da chi li usa come cassa da risonanza mediatica. Come giustifica la propaganda del potere queste scelte del sistema? Essa afferma che tutto ciò è necessario al fine di mantenere il pareggio di bilancio e per abbassare successivamente il debito pubblico. Però, questi “sapienti” dell’oligarchia finanziaria non rispondono a due elementari domande: se l’economia non si riprende, non è che assottigliandosi la liquidità nelle tasche degli italiani si assottigliano anche le entrate nelle casse centrali? Come possiamo pensare di diminuire il debito pubblico se non abbiamo più soldi neanche per sfamarci? Risulta quindi evidente che i fini sono diversi rispetto a quanto espresso dal potere attualmente presente in Europa.
Torniamo ad analizzare la situazione reale del mondo del lavoro. Le imprese sono sempre meno incentivate ad investire sul territorio per vari motivi, due sono i principali. Il primo è il costo del lavoro che, come una mannaia, si abbatte sulla testa dei professionisti; il secondo è la sempre più scarsa preparazione culturale e professionale dei giovani che richiede, quindi, ulteriori investimenti da parte delle imprese. Se analizziamo queste due problematiche, possiamo comprendere come le scelte centrali abbiano come finalità quella di abbattere il mondo del lavoro, spingendo le imprese ad investire in altri luoghi, in modo da creare un sempre più forte disagio sociale.
Certo si può condannare la scelta del profitto portata all’eccesso da parte di certi imprenditori, ma un’impresa si fonda anche sulla visione economica del guadagno, non solo su quella di permettere uno sviluppo sociale. Quindi non possiamo prendercela con il privato se il pubblico agisce in modo scellerato. Nelle epoche passate un’illuminata visione dei rappresentanti del potere statale, aveva permesso, grazie al fiorire dei commerci e dell’economia reale, un investimento nell’ambito culturale e artistico permettendo, ad esempio, la nascita di uno dei periodi più ricchi per l’Italia e per l’Europa, come il Rinascimento. Forse è proprio questo che temono i grigi speculatori della finanza internazionale, forse temono un nuovo rinascimento europeo.
Nella storia recente del secondo dopo guerra, lo scettro del potere internazionale e interno, non era nelle mani dei popoli del vecchio continente, ma era ben saldo nelle mani delle due grandi potenze contrapposte, USA e URSS. Caduto il muro di Berlino, il governo del mondo, è passato, quasi globalmente sulla sponda atlantica, ma non è finito nelle mani del popolo americano.
Quello che si è sviluppato nel cuore del paese liberale per eccellenza è il dominio delle grandi società finanziarie, delle lobbies economiche multinazionali, di realtà di pochi ricchi capaci d’incanalare le scelte elettorali per poter scegliere a chi affidare la guida dell’esercito più potente al mondo. Questi nuovi potenti, per aumentare la loro area di potere, stanno creando realtà sovranazionali sempre più forti, capaci di spingere i governi democraticamente eletti, a seguire la loro volontà.
Fino al 2010-2011 queste realtà erano rimaste nascoste davanti allo sguardo disattento del cittadino medio, ma ora hanno tolto ogni velo perché stanno puntando direttamente alla conquista d’Europa. L’imposizione di uomini mai scelti dai popoli, come successo in Italia e in Grecia, le continue minacce nei confronti di coloro, come Spagna, Ungheria o Islanda, che scelgono liberamente altre forme di governo, sono ormai prassi quotidiana in un’Europa sempre più lontana dai popoli e sempre più schiava dei nuovi potenti.
Cosa possiamo fare noi cittadini per impedire questa deriva? Noi dobbiamo riscoprire il vero senso della cittadinanza e della Patria, non più intesa come realtà astratta, ma vissuta come comunità umana fondata sulle medesimi radici culturali, immerse in uno specifico territorio. La sfida lanciata da Maroni in Lombardia ha questo significato, riunire un primo embrione comunitario all’interno di una macroregione in modo da costruire una forza politica ed economica che, dal basso, sappia contrastare il dominio dei pochi. Al posto che gridare al rischio secessionista, anche le altre regioni, non solo d’Italia, ma anche d’Europa, dovrebbero seguire questo mirabile esempio, perché solo se superiamo la barbara visione individualistica, possiamo ridare slancio alla nostra Terra.
Qualche anno fa, un uomo, Jörg Haider, aveva avuto quest’idea. I suoi passi, iniziati dalla piccola Carinzia, erano stati quelli di creare una macroregione alpina capace di superare i confini degli stati, per ricostruire una nuova Europa, insieme a popoli vicini per cultura e storia. Haider è stato prima attaccato mediaticamente dalla stampa internazionale e poi eliminato fisicamente. Noi però non dobbiamo scoraggiarci, dobbiamo avere il coraggio di portare avanti questo cambiamento proprio per poter offrire un futuro dignitoso ai nostri figli.
La delusione per la corruzione politica così abilmente espressa dai giornali, è solo un altro modo che utilizzano gli speculatori dell’alta finanza per allontanare il popolo dall’esercizio del suo libero potere. Noi siamo lo Stato, noi cittadini deteniamo il reale potere, esercitiamolo, quindi, scegliendo la Politica vera, non la demagogica anti-politica. Coloro che condannano i nostri rappresentanti, dovrebbero, in realtà, condannare se stessi.
Perché c’è il corrotto a guidarci? Perché noi cittadini abbiamo preferito seguire i nostri interessi e delegare, piuttosto che occuparci in prima persona della res publica. Ora è giunto il momento di cambiare rotta e costruire il nostro futuro.
Torniamo a guardare verso l’economia reale che si basa sul concreto rapporto tra cittadini, lavoro e territorio; torniamo ad investire nella cultura, pilastro fondante della nostra Civiltà; torniamo a sentirci comunità nazionale e non individui in mezzo a tanti nemici. Dobbiamo sentire il dovere di difendere le nostre piccole e medie imprese, in molti casi il vero cuore del made in Italy, davanti all’avanzata dei colossi multinazionali. Solo grazie a questa determinata volontà di ripresa politica ed economica potremo liberarci dal giogo della piovra internazionale. Tocca a noi rifondare l’Europa, per questo pensiamoci bene quando dovremo scegliere chi votare. Il vero futuro è quello proposto coraggiosamente da Maroni, scegliamo questa via piuttosto che difendere un sistema sempre più puntato contro noi stessi.
Matteo Di Bello
(tratto da http://www.associazionesperia.it)
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