Le macerie della riforma Fornero
(tratto da http://www.ildigestivo.it)
Secondo ultime stime da gennaio 2013 ci saranno oltre 100.000 nuovi disoccupati. Colpa della crisi, certo ma non solo. Si tratta delle migliaia di lavoratori con contratti di collaborazione a progetto o contratti a termine che nella maggior parte dei casi non potrà essere rinnovata dalle aziende. Merito della ministra Fornero che con la sua riforma del lavoro, che entrerà in vigore con il nuovo anno, ha voluto tra le altre cose disincentivare il contratti di lavoro flessibili, e pertanto precari, per incentivare dall’altra parte le assunzioni a tempo indeterminato, il famoso posto fisso. Ma i tecnici al governo non avevano detto che il posto fisso era noioso? Certamente è più noioso stare a casa disoccupati. Questo è invece l’effetto concreto ottenuto, passare da un lavoro pur precario alla disoccupazione o se va bene ad un lavoro ancora più sfruttato ed in nero.
I contratti cosiddetti flessibili o contratti atipici devono i natali al giuslavorista Marco Biagi, ucciso dalle nuove Brigate Rosse nel 2002. L’idea di base era ridurre la disoccupazione aumentando la flessibilità.
I contratti atipici forniscono importanti vantaggi per le aziende a livello di contributi, tassazione e flessibilità di utilizzo. Di contro il grande errore fin dalla nascita è stato di non prevedere per il lavoratore alcuna tutela in relazione a ferie, malattia, permessi e maternità. Ciò da un lato ha causato abusi ed in alcuni casi anche lo sfruttamento da parte del datore di lavoro. Dall’altra, le banche, abituate alla garanzie maggiori offerte dai lavoratori a tempo indeterminato, hanno chiuso le porte ai nuovi potenziali clienti, desiderosi di avere un mutuo per poter costruire una famiglia pur vivendo con contratti a tempo determinato e flessibili rinnovati di volta in volta.
I risultati postumi hanno dato poi ragione in termini numerici a Marco Biagi. Negli anni successivi all’entrata in vigore dei nuovi contratti atipici la disoccupazioni in Italia è scesa ai livelli del 1992, in gran parte grazie all’emersione del nero, dall’altro lato vi è stato anche un incremento dei contratti a tempo indeterminato derivanti dalla stabilizzazione dei contratti flessibili, ampiamente utilizzati per i lavoratori più giovani ed i neo laureati per le prime esperienze lavorative.
Di per se l’obiettivo di tutelare di più chi ha un contratto atipico è positivo ed auspicabile. E qui si doveva intervenire già anni fa, garantendo, a fronte di un lieve incremento dei costi per l’azienda, maggiori tutele, con particolare riguardo alla malattia ed alle ferie, analogamente ai contratti a tempo determinato.
Tuttavia i tempi e i modi in cui la riforma Fornero colpisce il lavoro, ma soprattutto i lavoratori con contratto atipico sono quanto di peggio si poteva fare.
Prima di tutto i tempi. Dovrebbe essere ovvio a chiunque, lo è all’uomo della strada, lo è al piccolo imprenditore, lo è alla mitica casalinga di Voghera, ma evidentemente non lo è a chi è rinchiuso in una torre d’avorio accademica.
Siamo ancora nel bel mezzo della più grave crisi economica e finanziaria dalla grande depressione, e l’uscita dalla tempesta non è vicina come qualcuno continua a dire. Piccole, medie e grandi imprese stentano e cercano di sopravvivere in un paese con una pressione fiscale record al 55%, chi non ce la fa chiude.
Come si può pensare che in una tale situazione un azienda possa permettersi di assumere un lavoratore dipendente a tempo indeterminato con un costo azienda che raggiunge anche le 2 volte quanto percepito dal dipendente. Per intenderci vuol dire che l’impresa (a seconda del contratto) per pagare un netto al dipendente di 1.500 euro mensili tra tasse, contributi, TFR, IRAP e balzelli vari si trova a versare oltre 3.000 euro.
Si tratta del cosiddetto “cuneo fiscale”, che vede l’Italia vicina al 50% ai vertici per la tassazione sul lavoro tra i paesi OCSE. Qui il governo doveva intervenire pesantemente con un taglio drastico al peso fiscale sul mondo del lavoro, rilanciando imprese, consumi ed economia in un colpo solo, finanziando il tutto con un massiccia sforbiciata agli sprechi, alla burocrazia ed ai privilegi dei soliti noti. Ovviamente nulla di tutto ciò è stato fatto.
Passando alle modalità, si è scelto poi di operare con un’accetta per fare la punta ad una matita spuntata, quando invece sarebbe stato necessario un temperino per sistemare quello che non andava, senza demolire tutto. Qualche esempio è d’obbligo. Allungare il tempo tra un contratto a tempo determinato ed il successivo da 10 a 60 giorni per i contratti di durata inferiore a 6 mesi (da 20 a 90gg oltre 6 mesi) comporterà per l’azienda non l’assunzione a tempo indeterminato del lavoratore, ma semplicemente la scelta di un lavoratore differente, lasciando a casa il primo. L’estrema rigidità prevista per i nuovi contratti a progetto, con grandi limitazioni in relazione all’oggetto, comporterà il ritorno nella stragrande maggioranze dei casi al lavoro sommerso ed al nero.
Vengono poi considerare finte le partite IVA e pertanto si presume un lavoro dipendente a tutti gli effetti al persistere di almeno due delle seguenti tre condizioni: postazione presso l’azienda del committente, oltre l’80% del reddito da un unico committente, lavoro per oltre 8 mesi per lo stesso committente.
Risultato: in strada o con riduzione della collaborazione tanti professionisti che lavorano prevalentemente per un solo cliente. Emblematico il caso delle 2.000 partite iva che collaborano con la Rai (registri, autori di testi, etc) ma se per il carrozzone statale come al solito si troverà una soluzione, tanto paga pantalone, così non sarà per le migliaia di altri professionisti che lavorano per aziende private.
Per non parlare dell’inasprimento dei contributi INPS della gestione separata che passerà dal 27,72% attuale al 33,72% al ritmo di un punto percentuale di innalzamento all’anno, una mazzata pesante per i lavoratori autonomi con partita iva. Vuol dire che su 1.000 euro lordi incassati tolto un 20% di IRPEF di tasse, tolta la quota INPS resteranno in tasca netti poco meno di 463 euro. La logica farebbe pensare alla necessità di questo aumento al fine di mantenere in attivo la gestione separata e permettere così il futuro pagamento delle misere pensioni degli parasubordinati (p.iva e co.co.pro). La verità è che la gestione separata è in attivo per oltre 9 miliardi di euro e permette di mantenere in attivo tutta la cassa dell’INPS.
A gennaio 2013 entreranno in vigore le nuove norme e si cominceranno a vedere i primi infausti esiti della riforma, che andranno a colpire prevalentemente i giovani, la categoria più odiata ed abietta per i tecnocrati che ci hanno governato in questi pochi mesi, senza dimenticare chi c’è stato prima e li aveva definiti bamboccioni.
L’auspicio è che il prossimo Governo, democraticamente eletto, possa fare tabula rasa e resettare tutto, ripartendo, senza ideologie, da quello che c’era di buono pre Fornero, introducendo le necessarie correzioni, dettate quest’ultime prima dai bisogni dei cittadini italiani che dai tecnocrati dell’Europa.
Luca Frabboni
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