Se Albertini non va alla Montagna, non è la Montagna che va da Albertini
L’ex sindaco di Milano, Gabriele Albertini, pare essere stato contaminato dalla sindrome schizofrenica del suo puparo – l’ex governatore Formigoni. La debacle causata dalla Lega non era andata giù al Celeste, che per non uscire dai giochi aveva deciso di nascondersi dietro le spalle del suo nuovo giocattolo: nel giro di pochi giorni, ecco rispuntare sulla scena politica l’eurodeputato del Pdl, lavato, stirato e dotato di nuova verginità politica (chissà se, per sicurezza, Formigoni abbia finanziato al suo candidato anche la ricostruzione dell’imene e lo sbiancamento anale… che tanto pare vadano di moda ultimamente). Persino il curriculum era stato sbianchettato, cancellando dalla sezione “datore di lavoro attuale” la voce “Popolo delle Libertà”.
Ma il giochetto pare non aver funzionato. La storia dell’Albertini uomo della società civile non se l’è bevuta nessuno, e via via – Berlusconi, Alfano, Giannino, ecc. ecc. – tutti hanno scaricato l’ex sindaco. A pesare è stata la candidatura di Maroni alla Regione: come fare, specialmente per un partito con grossi problemi di credibilità qual’è il Pdl, a giustificare davanti ai cittadini la decisione di non appoggiare una figura la cui serietà è trasversalmente riconosciuta e chiedere di votare una marionetta piazzata all’ultimo per tutelare il mondo di Cl?
La strana coppia pare aver capito il punto e, dopo le ripetute dichiarazioni anti-Lega, ha sferrato per mano di Albertini la mossa già tentata poco tempo fa da Formigoni: appropriarsi – in perfetto stile da fotografo giapponese – delle idee della Lega, con un documento programmatico da sottoporre alla stessa per una possibile intesa. Dal punto di vista dei contenuti, tale documento contiene alcuni punti certamente condivisibili (macroregione del Nord), altri sui quali ragionare (liberalizzazione servizi pubblici locali e cessione patrimonio Aler), altri invece da non prendere in considerazione (rinuncia al referendum sui trattati europei).
Ma, in realtà, tutto ciò è ininfluente. Il vero significato di questo documento è infatti palese: Albertini, lasciato solo, vuol tentare di tornare in gioco cercando di portare a casa l’imposizione di una linea. Altrettanto evidente è che egli, in realtà, non sia nelle condizioni di dettar regole a Maroni e alla Lega (nè ad altri). La strada per lui è dunque una sola: slegarsi dai fili di Formigoni e sfruttare l’occasione di redenzione per favorire un ricambio alla guida della Lombardia, in direzione di una vera politica legata al territorio, alle identità e allo sviluppo di un Europa delle regioni post-stati nazionali.
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