Nuovi razzismi
di Barbara Leva
La dignità della persona prescinde da ogni fattore esteno e deve essere trattata nel più delicato dei modi da chiunque e indipendentemente dalle situazioni.
Si blatera costantemente di razzismo, stigmatizzando gli atteggiamenti dispregiativi motivati dall’etnia, dal gusto sessuale, dall’appartenenza alle diverse tribù suburbane.
Se un tempo il razzismo aveva come movente il colore della pelle, si è esteso a includere la vessazione per gli orientamenti sessuali non consoni alla morale in voga e infine l’abbigliamento, il gusto musicale, il peso corporeo. Ad esempio, i negri, poi gli omosessuali e infine gli emo. Ad esempio.
Ma ora mi chiedo io, quali sono le basi di questi movimenti discriminatori?
Gli emo, o i punk, oppure i truzzi si vestono in maniera provocatoria, perché vogliono essere notati in quanto diversi. I cosiddetti froci da gaypride, idem. Quindi, il voler apparire diverso implica la volontà di suscitare sguardi e commenti, e dunque non capisco come si possa tacciare di razzismo chi soddisfa la loro volontà guardando e commentando. Non credo proprio siano giustificabili con un’ipotesi quale ad esempio il fatto che loro si sentono normali, perché altrimenti non si darebbero definizioni. Sarebbero e basta.
Per quanto riguarda le discriminazioni etniche, comprendo il substrato culturale che le ha fatte nascere, ma ritengo che siano questioni superate. Quelle storiche, per lo meno. Il razzismo di pelle è sempre stato in direzione centripeta, dall’occidente al resto del mondo fino all’avvento del mondo globalizzato. L’insediamento di comunità provenienti da diverse parti del mondo ha portato alla caduta delle nostre barriere, perché si parli quanto si vuole di respingimenti ma la nostra concezione dell’uomo straniero, preso in sé come singola unità, non ci spaventa né ci fa sentire superiori.
Però la convinzione che tale razzismo sia duro a morire, la forte fratellanza che si crea tra immigrati, ha portato a un nuovo fenomeno che si diffonde fin troppo velocemente.
Ristoranti cinesi che riservano agli italiani una sala piccola e buia, separata da quella enorme e luminosa in cui cenano solo cinesi. Musulmani che si permettono di palpare culi italiani e dire oscenità a italiane perché non sono coperte come le loro donne islamiche. Africani che si permettono di offendere, come se la disoccupazione fosse una scusa per evitare di offrire loro un caffè, chi non porge loro la moneta richiesta.
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