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Dalla scuola maestra di vita alla scuola industria

di Barbara Leva

Provengo da un famiglia in cui, seppure con qualche eccezione, la scuola pubblica è un luogo frequentato assiduamente. Al di là delle scelte parentali, io stessa ho preferito sempre il pubblico al privato, e in questo modo ho scelto sia il liceo che con più fermezza l’università.

Ammetto che molti programmi tendono a concentrarsi su una visione della sinistra positiva, di contro alla svalutazione della destra, ma solo dove per destra si intende il fascismo e il post fascismo: è infatti vero che la destra storica e il centro destra sono indicati in maniera neutra. Gli intellettuali filo fascisti o filo dittatoriali vengono trascurati, futuristi pre fascisti e bellicosi a parte, siano essi artisti, filosofi o scrittori italiani quanto stranieri. Vengono altresì taciuti i crimini commessi dalle dittature comuniste.

La risposta a questa mancanza di obiettività e quindi politicizzazione della didattica non si trova però nella mala fede degli insegnanti e degli editori, ma in una legge molto restrittiva: la segretezza degli archivi per i primi 60 anni dalla creazione dei documenti ivi contenuti, che pertanto impedisce una chiara lettura del fatto storico. D’altra parte, si sa bene che la storia viene fatta dai vincitori, i quali hanno tutto l’interesse nel tacere i loro peccati ed enfatizzare quelli dei loro rivali.

Questo problema di corretto possesso del passato non interessa però solo un settore dell’istruzione, il pubblico, ma è un fenomeno esteso a tutta la società civile. Solo chi c’era può raccontare la sua verità, estranea però alle istituzioni – tra cui, appunto, il Ministero dell’Istruzione e tutto ciò che da esso deriva.

Si tratta ovviamente di un problema notevole per le giovani generazioni, costrette a vivere in un presente confuso proprio perché carente di un passato recente limpido e ben articolato. Ma si tratta di un problema di ordine puramente concettuale, che nulla ha a che vedere con i valori che vengono trasmessi dalla società tramite singoli individui e i nuclei familiari da essi composti. La scuola infatti accompagna il percorso di crescita dei singoli, ma chi deve fertilizzare le coscienze sono le famiglie di appartenenza: anche se molti pensano il contrario, la scuola aiuta a crescere con concetti astratti ed esercitazioni di vita in un micro modello di società, non è una fabbrica di futuri uomini prefabbricati.

Valori quali la solidarietà, l’amore per il prossimo, la fatica del lavoro e la soddisfazione per l’impegno profuso nel raggiungere un ideale – valori cristiani che vivono in noi al di là della semplice fede, per una tradizione interrotta solo da alcune emergenze di materialismo che devia il vivere comune e armonico verso un individualismo sfrenato, interessato non al prossimo ma all’interesse personale.

Il presidente del Consiglio ora in carica è un esempio lapalissiano di questo modus vivendi, detto pure liberismo: siamo liberi solo quando inseguiamo il nostro interesse personale. E’ forse per questo che incita le famiglie a liberarsi dalla morsa della cultura insegnata nelle scuole pubbliche, dove si insegna il vivere in una società ricca di particolari e nell’accettare le diversità, per ingrandire le fila della scuola privata, luogo in cui i giovani possono crescere nell’ottica del guadagno futuro. Dal “siamo-dunque-sono” al “ho-quindi-sono-e-dunque-sarò”.

Davanti alle sue affermazioni sulla distorsione dei valori insegnati nelle scuole pubbliche, sulla possibilità di sottrarsi a certe mentalità deviate, io mi chiedo se questo implichi la sottrazione delle persone con valori e di valore a un governo decisamente delirante nel suo individualismo personale.

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