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Donne di casa nostra

di Barbara Leva

Ogni tanto mi capita di cedere alle pressioni sociali che Milano esercita. Ogni volta mi riprometto di tenere la giusta distanza tra me e le proposte della classe bene, e invece ci ricasco. Senza rammarico, si tratta pur sempre di un esperimento antropologico diretto, come tale è la frequentazione dei mezzi pubblici che collegano il centro alla periferia.

Spesso infatti mi capita di bazzicare in zone limitrofe della metropoli, e non è raro imbattersi in donne, spesso in coppia, alla guida di passeggini e coperte dal niquab. Mentre i marmocchi sorridono e si scatenano alla pari dei loro coetanei nostrani, le madri si distinguono per la loro veste che ne lascia scoperti solo gli occhi.Vestiti di solito additati a veli neri, in realtà ricchi di ricami, gioielli incastonati, bordi in tessuti preziosi, opere d’arte da invidiare. Abiti a parte queste donne chiacchierano ininterrottamente, ammirano le vetrine, sgridano i bambini alla pari delle loro coetanee nostrane. Quelle di un tempo, perché quelle contemporanee di prole ancora non ne hanno: sono troppo intente a frequentare i luoghi di cui in apertura.

La Milano che infatti mi capita di frequentare, ogni volta giurandomi che sia l’ultima, è quella del centro, delle macchine lussuose e dei sushi bar alla moda, con listini simili a quelli di gioiellerie e un alto tasso di giovani donne senza bambini e senza uomini. Chiacchierano, parlano di gioielli e borsette e diete. In una lingua simile all’arabo, a me ugualmente incomprensibile nei suoi gridolini e vezzeggiativi. Non sono coperte da veli, ma neanche da vestiti; sono infatti sommerse dal silicone, dal tatuaggio ammiccante, dalla nudità abbozzata sotto strati leggeri di tessuti sempre troppo leggeri per la stagione e innalzate su tacchi che più che l’altezza, sottolineano il gluteo palestrato forse di per sé non abbastanza evidente.

E’ in questi momenti che il centro città sembra l’occhio di un ciclone dal quale vorrei scappare, per dirigermi in una periferia che profuma di cibo economico ma preparato da una donna che ancora conosce il valore del suo sesso. Dove per sesso non si intende una pratica ginnica.

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