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Tra arabi e cinesi

di Alfonso Indelicato

Cari amici, da qualche tempo mi arrovello su un dubbio, proprio non ci dormo la notte: ci conquisteranno gli arabi o i cinesi? E non mi dite: Berto, a te che te ne importa, sta’ alla finestra e guarda. Ho passato la cinquantina, seppure non di molto, e faccio fatica ad adattarmi ai cambiamenti. Dunque ho bisogno di capire cosa mi aspetta, cosa mi conviene di più, e soprattutto di abituarmi all’idea.

Meglio il gretto materialismo dei cinesi o l’ossessivo teismo semita? Nel campo del lavoro specificamente, meglio il determinato stakanovismo dei primi o il fatalistico oblomovismo dei secondi? Meglio il cane bollito o il cous cous?

Vediamo. Io sono per temperamento un indolente, anche se poi le esigenze pratiche mi convincono a uscire di casa e trovarmi qualcosa per sbarcare il lunario. E se i musi gialli mi mettono in un sottoscala a cucire suola e tomaia? Tot paia, tot euli. E io lì, in quel maleodorante sgabuzzino, che sgobbo. Amico Zhu, posso riposarmi un poco? No, lavola! Posso andare in bagno? Lavola! Lavola! O tu niente mangiale! Niente ciotola liso!

Allora, forse, meglio i beduini. Tempi morti fin che ne vuoi, fumate narcotizzanti al narghilè… solo che, ora che ci penso, c’è almeno un’abitudine di quella gente che non amo molto. Questi ci hanno il suk nel sangue. Tu entri al bar e consumi il tuo cappuccino e brioche. E Hassan il barista ti dice: – dieci euro. – Come dieci? – protesti scandalizzato. – Vabbé, facciamo nove e mezzo. – E comincia la lunga, snervante trattativa…

Ora, dovete sapere che io non amo discutere di soldi, e men che meno coi bottegai. Per esempio una volta, eravamo da un antiquario, dissi a mia moglie: preparati cara, adesso farò una trattativa  ariana.

– Berto, cos’è una trattativa ariana? – mi chiese lei sospettosa.

– Semplice, tesoro. Se i semiti trattano al ribasso, io in quanto indoeuropeo tratterò al rialzo. Lui mi chiederà, per quel gruppo floreale di Capodimonte, trecento euro? E io gliene offro trecentoventi! –

– E a che pro? – mi ha chiesto mia moglie con un tono protervo che  non  prometteva niente di buono.

– Perché di fronte a un tale spettacolo di onestà – le spiegai pazientemente – quell’uomo non potrà rimanere insensibile e dichiarerà subito, senza indecorose lungaggini, il vero valore della sua merce. Vieni, ora ti mostro. –

Mi avvicinai all’antiquario e gli chiesi: – Quanto viene quel Capodimonte? –
– Quello coi fiori? Trecento euro. –

Osservai l’oggetto con ostentato interesse, poi mi misi ad accarezzarmi il mento fingendo di riflettere sulla sua richiesta.

– Trecento mi sembrano anche pochi per quell’oggetto. Gliene darò trecentoventi. –

– Affare fatto. – rispose quello. E mi mise in mano il Capodimonte.

Uscendo dal negozio mi toccò anche ascoltare i commenti poco lusinghieri di mia moglie su di me e sulla mia tecnica d’acquisto. Ma si sa: le donne sono un po’ come i semiti, in fatto di soldi.

Tornando ai cinesi, devo dire che trovo le loro donne piuttosto carine. E poi non usano il chador. Questo potrebbe essere un argomento a loro favore, ma non so quanto decisivo. In effetti non vedo mai una donna cinese accompagnarsi con un italiano: forse gli facciamo senso? Invece di donne italiane che vanno con gli arabi ne ho vista più d’una. Se ci conquistassero i maghrebini, se non altro ci eviteremmo tutte le grane diplomatiche che abbiamo quando piantano in asso le mogli italiane e se ne scappano al paese con i figli. Essendo già a casa loro, non dovrebbero più scappare: si limiterebbero a ripudiare le mogli, secondo la legge coranica, e si terrebbero i figli in casa: tutto finirebbe lì.

A pensarci bene un’altra conseguenza positiva della conquista araba sarebbe per l’appunto l’aumento della produzione dei chador, i quali verosimilmente verrebbero tessuti dai … cinesi. Si profila così il seguente scenario: il cinese tesse il chador (nel sottoscala o nell’abbaino), il mussulmano lo vende nel suk al suo correligionario (dopo un’oretta di trattativa), la donna italiana lo indossa e poi se ne fila contenta nel gineceo a preparare il narghilè al marito beduino… Quindi, un vero e proprio circolo virtuoso dell’economia, nonché un orizzonte di collaborazione fra le etnie…

Alla fine, però, siamo tornati dove proprio non avrei voluto, cioè al vile denaro. Ieri spiegavo a mia moglie, in proposito, le regole auree del bushido: il samurai non doveva neppure dare a vedere di conoscere il valore dei soldi, pena il disonore e la radiazione dalla confraternita! Ma lei, col suo spirito pratico, mi ha subito fatto notare che ciò esponeva il nobile guerriero a delle fregature. Per esempio se il samurai chiedeva a un contadino di vendergli un cocomero e il contadino rispondeva: – costa un milione di yen – il samurai glieli doveva dare!

– Sì – le ho risposto – ma poteva, dopo avergli dato il milione di yen, affettarlo in due con un colpo della sua katana – . – Affettare cosa? Il cocomero? – mi ha chiesto. – Ma no cara: il contadino. Ci perdeva un sacco di soldi ma sai che soddisfazione! –

E già: se proprio dobbiamo essere conquistati da qualcuno, perché non ci conquistano i giapponesi?

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