Un nuovo accordo per Mirafiori era necessario per mantenere la Fiat competitiva sul mercato internazionale. Così Marchionne ha giustificato l’atto di forza appena compiuto. Se i lavoratori non avessero accettato, la Fiat avrebbe spostato la sua produzione in altri paesi con manodopera più a buon mercato. I paesi con manodopera economica sono quelli in cui c’è una minore (o assente) tutela dei diritti del lavoratore: no accordi sindacali, no misure anti-infortunistiche, ecc. Ma ben venga se ciò consente di pagar meno un operaio. E se pagar meno un operaio consente di ridurre il prezzo del prodotto. E se ridurre il prezzo consente di vendere più prodotti. E se vendere più prodotti consente di aumentare i profitti… e i profitti, a chi vanno?
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Competitività. Sembra quasi che questo obiettivo sia raggiungibile soltanto con la minimizzazione dei costi. Ma l’economia ci insegna che ci sono molti altri modi per creare un prodotto competitivo: la qualità, l’innovazione, l’assistenza, il servizio, l’estetica e via dicendo. Le case automobilistiche straniere continuano a sfornare modelli, all’insegna del design più accurato, della tecnologia più sofisticata, dei minori consumi, del minor impatto ambientale. L’ultimo veicolo Fiat rimasto nei cuori dei consumatori è il vecchio pandino… vorrà pur dire qualcosa…
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Stipendi. Uno dei lati oscuri, a detta di tutti gli studiosi ed economisti, del’ultima crisi economica/finanziaria è dato dal fatto che non si comprende come – nonostante le imprese con conti in rosso, debiti e sull’orlo del fallimento, i compensi dei manager continuino a lievitare. Non c’è un legame tra remunerazione e obiettivi raggiunti. Le imprese falliscono e lasciano senza stipendio i lavoratori (affidando la loro sorte allo Stato), ma prima di chiudere i battenti si siedono al tavolo per suddividere i soldi rimasti tra i dirigenti. Coloro che hanno mandato allo sfascio l’azienda, si concedono un’ultima, lauta buonuscita.
«Sono diventate una cosa mostruosa, non c’è più un rapporto chiaro fra risultati conseguiti e stock option. Secondo me non è giusto darle in questo modo, anche a gente che sta rovinando aziende, e in ogni caso non è giusto fargliele pagare, in termini fiscali, meno di quello che pagano i loro operai sul mercato. Ci vuole una “aliquota della malora”, invece».
Lo diceva non molto tempo fa il ministro Tremonti, che nel 2008 chiedeva una stretta sulle stock option, gli incentivi in azioni che fanno guadagnare decine di milioni. Ne possiede una quantità industriale l’a.d. della Fiat Marchionne, che soltanto con la detenzione di queste nel 2011 guadagnerà una cifra che è talmente spropositata che preferiamo non dire per non causare l’infarto a qualche onesto lavoratore che ci legge (chi vuole la trova facilmente su internet). Basterà pensare che il predecessore di Marchionne aveva una retribuzione pari a 20 volte quella dei suoi dipendenti… il guadagno di Marchionne invece è circa 435 volte i suoi operai (stima che può aumentare considerevolmente sulla base di alcune variabili).
Il contributo di Marchionne al successo della Fiat sarà almeno 435 volte superiore a quello fornito dai suoi lavoratori? Ai posteri l’ardua sentenza. Certamente il contributo del manager italo-canadese non è stato così positivo come si può immaginare. Proprio qualche giorno fa sono stati svelati gli obiettivi affidatigli dalla Fiat, la maggior parte dei quali non sono stati raggiunti. Le uniche operazioni riuscite sono state quelle finanziarie, che gli hanno consentito di fare quei profitti che ci si aspettava dalla vendita delle auto.
Ma la colpa non è (o comunque non solo) di Marchionne o della Fiat. Qualcosa nel sistema non va.
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