Pompei e crollata di nuovo. Tutta colpa di Bondi?
di Barbara Leva
Un evento talmente tragico da far invocare la sfiducia per il ministro ai beni culturali (anche se per essere specifici la denominazione ufficiale include ai beni le attività culturali, cioè oltre ai monumenti e alle opere d’arte riguarda spettacolo e sport, rami importanti della cultura, senza dubbio degni della stessa tutela – valorizzazione – gestione da riservarsi alle produzioni dell’intelletto umano, non si potrà certo obiettare) da parte degli esponenti dell’opposizione, in primis l’ex ministro ai beni culturali nonché ideatore della struttura odierna del ministero.
Ma dunque. Pompei, già non distrutta dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. ossia città antica che grazie al dissotterramento ad opera dei detriti lavici è scampata alla distruzione che avrebbe certamente provocato la vita quotidiana per mezzo di metamorfosi architettoniche ed urbanistiche funzionali ma anche dettate da mutamenti di gusto, e in quanto testimone e testimonianza della vita di un’epoca è stata protetta fin dalla sua riemersione, avvenuta casualmente nel Settecento. Finché ora, dopo secoli di protezione accanita, tutto crolla. Così ci fanno capire, ci fanno credere.
Perché la Pompei distrutta in questione non è che un soffitto in cemento armato messo in opera negli anni ’50, il cui crollo non ha intaccato affreschi né strutture originarie. E allora, il problema dov’è? Si tratta forse di una costruzione propagandistica finalizzata alla messa in crisi di un ministro per colpire il capo supremo? Ebbene no. Nì.
Il ministro in questione è sì da sfiduciare, forse più crudelmente andrebbe costretto a studiare la storia dell’arte e la storia del teatro, non perché causa prima e ultima del crollo di un rifacimento tardo che forse non ha fatto altro che restituire dignità alla città, rendendola nuovamente autentica – ma evito noiose teorie sul restauro e sul completamento architettonico. E’ da mettere in dubbio, il suo ruolo, in relazione a favoritismi ad opera di belle donne e parenti, e quindi in una situazione estranea al bene culturalismo in sé.
Questo crollo dall’enorme risonanza mediatica è pressoché privo, come detto, di rilevanza storico-artistica; la sua importanza è sociale, economica, culturale. E’ infatti simbolo della scarsezza di risorse destinate alla manutenzione dei siti culturali, nonostante sia sottoposto al controllo di una soprintendenza speciale ad esso dedicata; è il simbolo quindi di una mancanza di interesse che le autorità politiche manifestano per il patrimonio culturale tutto, del quale Pompei non è che una piccola parte. Tagliando i fondi alla cultura, infatti il paese non si arricchisce: la perdita è sul lungo più che sul breve termine, poiché la mala conservazione di un sito storico, o di un museo o un’opera d’arte o un sito monumentale o quello che di culturale si vuole, provoca infatti un risparmio di fondi che si ripercuote in perdita di patrimonio culturale e di indotto che questo provoca. Senza turismo l’Italia sarebbe al collasso, e senza cultura il turismo in Italia non avrebbe di che esistere – non si pensi ai paesaggi, perché senza contesto anche i paesaggi italiani non sono nulla, senza considerare che la logica del condono dell’abusivismo è strettamente connessa a quanto appena sostenuto.
Questo modus operandi è stato sì fatto proprio dai governi Berlusconi, ma va detto e non dimenticato che le opposizioni politiche non l’hanno contrastato, ma spesso condiviso. Pertanto non si renda Bondi vittima di una situazione che si tramanda da un governo all’altro da decenni; si tratta di un ministro indegno del suo ruolo, certamente, ma non per questo bisogna trascurare l’eredità che ha dovuto accogliere o meglio, la sua inadeguatezza non deve catalizzare gli scempi avvenuti prima di lui e a lui attribuirli.
Non si renda Pompei altro che un simbolo della pittura romana, malgovernata e malconservata forse, sicuramente non più di tutto il resto del patrimonio. Si smetta quindi di urlare alle emergenze, fornendo e tagliando fondi o attuando programmi di recupero emergenziale da dimenticare appena giunti a piena o parziale conclusione, ma si prenda questo panico generale ad esempio per programmare un piano di tutela e sviluppo del patrimonio culturale, finalizzato non al domani, ma al sempre.
Tenendo sempre alla mente i principi fondamentali della nostra Costituzione, in particolare l’articolo 9: la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.
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