Tutti contro il partito islamico
La presentazione a Milano della lista islamica che si presenterà alle prossime elezioni non si può dire che sia stata accompagnata dal favore della politica. Ma la cosa più interessante è che le proteste non siano arrivate soltanto dalla Lega, ma anche dal Partito Democratico.
Il fatto non è di poco conto. Già è difficile che si trovi una convergenza tra destra e sinistra su una qualsiasi decisione, figurarsi se questa avviene su un tema scottante come quello dell’integrazione. Una ammissione di ragionevolezza della tesi esposta in primis dai leghisti. O una ammissione di colpa di un partito che si sta accorgendo di aver affrontato per anni il problema dell’immigrazione con un approccio errato.
Ad aprire il dibattito ci ha pensato il segretario provinciale della Lega Igor Iezzi, che ha definito preoccupante il fatto che la comunità islamica scenda in campo con un suo partito. Secondo la Lega, si tratta di una ulteriore dimostrazione della non volontà di integrarsi… pensiero peraltro implicitamente confermata dagli “accusati”, con in testa il direttore del centro islamico di viale Jenner Abdel Hamid Shaari. Al coro leghista si sono poi aggiunti gli esponenti del Pdl e del Pd, tutti preoccupati dall’evolversi della situazione. Preossupazione derviante dal fatto che, nel caso islamico, non si riesca ancora ad avere una visione chiara e traparente della rete delle tantissime comunità presenti nel territorio, delle loro attività, delle gerarchie e dei rapporti con il fondamentalismo.
La sensazione è che – più che una reale presa di coscienza – l’intenzione del Pdl e del Pd sia quella di imitare la Lega, la quale politica è ormai palesemente considerata vincente e apprezzata dai cittadini. D’altronde già in passato abbiamo assistito a radicali cambi di posizione in tal senso.
La questione di fondo resta però la seguente: le politiche migratorie volute dalla sinistra e condite dal falso moralismo perbenista hanno fatto sì che il fenomeno migratorio sfuggisse ad ogni controllo. Oggi dunque ci troviamo di fronte ad una città come Milano la quale popolazione è composta per quasi il 15% da immigrati (ben sopra la media nazionale del 7% circa).
Immigrati che però una volta arrivati non hanno trovato le strutture, le possibilità e la preparazione culturale necessarie per amalgamarsi. Nè volevano che ciò avvenisse, convinti che il loro obiettivo fosse sostituire la malsana cultura occidentale (giudizio condivisibile) con la loro. Ecco dunque il proliferare di comunità etniche separate e chiuse, che costiutiscono delle vere e proprie città nelle città. E che ora rivendicano un ruolo di potere.
In conclusione, l’errore è di ordine cronologico: si apra prima un confronto culturale nel quale il mondo islamico sia disposto a mostrarsi con trasparenza. Soltanto dopo, ed in caso di riscontri positivi, si può pensare ad una rappresentanza politica.
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