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Rialzati, Europa!

Obnubilato dai miti dell'egualitarismo e dalle seduzioni della democrazia, langue inconsapevole il nostro continente

Di seguito l’intervento di Emilio Giuliana, in aperura al convegno talebano di venerdì scorso, tenutosi a Trento.

La storia moderna, non è che accurata cronaca dei progressi e delle fasi di arresto del morbo disgregatore nel tessuto connettivo della civiltà europea, intesa come comunità spirituale unita dal mondo classico, ellenico romano e dall’universalità del Cattolicesimo. Oggi, viviamo l’implacabile lotta di due mondi sovrapposti, il mondo superiore, che continua a restare sotto l’influenza del mondo classico, plasmato dal cristianesimo tradizionale, ed il mondo inferiore, coscientemente od incoscientemente sottomesso all’occulta potenza del tempio di Satana, imperialista e militante, in lotta contro l’autorità legittima.

Uno tra gli strumenti utilizzati per la demolizione delle autorità gerarchiche in ordine con il cosmo è stato il nazionalismo ottocentesco, diretto sostituto delle aspirazioni giacobine e carbonare, movimento attraverso il quale è stato rovesciato l’ordine sociale fissato dalla natura, secondo la regola del diritto del numero, aprendo la strada alla funesta valanga, oggi divenuta inarrestabile, delle pretese di autodeterminazione nazionale, etnica, morale, culturale, religiosa, sessuale, eccetera. Una volta ammessa la regola del diritto del numero, la volontà detta nazionale, in senso di maggioritaria non ha conti da rendere a nessuno. E quando il confronto per il potere si riduce al dominio della quantità, il potere dietro le quinte, già consolidato per suo conto, non ha che da mettere in moto il suo apparato. Nella legge del numero è la forza dell’ideale democratico che ha già raggiunto numerose tappe del suo programma: l’eliminazione dei regimi tradizionali a base aristocratica, l’introduzione delle economie collettive, lo sconvolgimento delle gerarchie sociali, il passaggio della maggior parte delle risorse europee sotto il controllo del capitalismo internazionale.

Tutta la forza e la sostanza del democratismo è contenuta nel dogma in virtù del quale gli uomini sarebbero uguali e simili. Gli uomini si rassomigliano: in effetti essi sono più o meno simili per quanto riguarda la struttura anatomica e i bisogni fisiologici. Questa rassomiglianza e questa eguaglianza si interrompono quando entriamo nel dominio superiore dell’intelletto, del sentimento e della volontà. Niente, nell’universo visibile, presenta più varietà, più disuguaglianze, più incompatibilità degli individui della razza umana: si tratta di una vera e propria orgia di disuguaglianze sotto tutti i punti di vista e in tutte le sfere del sentimento e dell’intelletto. Sia che indaghiamo nella storia, nella geografia o nella letteratura, siamo costretti a riscontrare sempre e dappertutto, persino nelle nostre famiglie, la disuguaglianza più radicale esistente tra gli uomini — disuguaglianza morale, intellettuale, sentimentale, estetica ed anche psicofisica. Si potrebbero versare fiumi d’inchiostro per provare che nell’ambito di ogni civiltà, di ogni forma evoluta di comunità, mai gli uomini sono stati intrinsecamente e naturalmente uguali, salvo che sul piano anatomico e fisiologico. Inutilmente, i sostenitori della tesi contraria invocano la teoria di Darwin per persuaderci a viva forza che disuguaglianze e differenze siano dovute a disuguaglianze di trattamento e di regime nella lunga serie di generazioni passate: siano dovute — in altre parole — all’ingiustizia sociale, eliminata la quale, gli esseri umani diverrebbero tutti simili ed uguali sotto ogni aspetto.

Siffatti commedianti cadono in un errore radicale: essi confondono, infatti, l’effetto con la causa e la causa con l’effetto, perché è la disuguaglianza intrinseca degli uomini l’elemento determinante della disuguaglianza che in seguito è intervenuta tra le classi e le condizioni sociali e non il contrario. L’uomo, in definitiva, è l’elemento più dissimile, più disuguale, più irriducibile della natura, e nessun voto, nessuna rivoluzione potrà mutare questa caratteristica, anche se venisse massacrata la metà del genere umano. Anche se una sola coppia umana fosse lasciata in vita, la disuguaglianza subito risorgerebbe, e uno dei congiunti si farebbe servire dall’altro. Si ha un bel da fare ad agitare un bicchiere contenente dell’acqua e dell’olio: l’olio risalirà sempre alla superficie. Afferrato tale concetto, tutto, come per miracolo, appare più chiaro e trasparente nella storia moderna e contemporanea. Saremo appunto in grado di giudicare quale genio satanico sia stato colui che ha riunito nel motto iniziale queste due parole, libertà ed eguaglianza, che sono i due termini della tentazione e della reciproca contraddizione voluta da chi le iscrisse sul suo stendardo — e che molti secoli prima dell’era democratica le Sacre Scritture avevano posto in bocca a Satana. Questa contraddizione si può rilevare nella democrazia pura, quando abbiamo affermato che, in virtù dell’eguaglianza politica dell’individuo, sono i numeri a decidere il tipo e i limiti della libertà. Dunque, in pratica, niente libertà ed uguaglianza proprio per effetto dell’uguaglianza politica.

Concludo con due aforismi che condivido, il primo dello scrittore statunitense Henry Louis Mencken (1880 – 1956), il quale asseriva: La democrazia è una forma di religione. È l’adorazione degli sciacalli da parte dei somari. Il secondo aforisma del politico, filosofo e scrittore britannico, di origine irlandese Edmund Burke, il quale raccomandava: “Perché il male trionfi è sufficiente che i buoni rinuncino all’azione!”

Emilio Giuliana

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