TUNISIA: UN DISASTRO ANNUNCIATO
La Tunisia è ancora una democrazia, ma è importante volgere lo sguardo su un possibile futuro: il popolo è pervaso dal malcontento, la povertà è evidente e tutti i partiti politici vengono accusati di “mediocrità” e “miopia”. Non è certo da escludersi che un tale mix di fattori porti ad un’implosione: molte sono le influenze di potenze estere che potrebbero godere di ottimi “risultati” se la Tunisia si trasformasse in un regime autoritario ad esse “amiche”. Non è un’ipotesi “fantasiosa”, ma basta volgere lo sguardo all’influenza russa in Siria e all’operato cinese che, di fatto, contribuisce alla destabilizzazione di Sudan ed Etiopia.
Sarebbe sconcertante se l’Italia non intervenisse: la Tunisia ha un primario ruolo geopolitico e non è possibile ipotizzare che siano sempre e solo i Paesi del Golfo ad adoperarsi per esacerbare possibili fronti di crisi. Non serve che qualcuno tenti di “esportare la democrazia”, ma è necessario creare solide partnership economiche vantaggiose bilateralmente così che nazioni meno “limpide” non possano trovare spazio di manovra. Tutto ciò è fondamentale anche in chiave securitaria per la nostra nazione.
Crisi politica
Sabato 17 dicembre 2022 si è tenuto un referendum in Tunisia per eleggere una nuova Assemblea: un fiasco clamoroso accertato dal fatto che l’affluenza sia stata solo del 9% circa. Sembra che questo nuovo appuntamento alle urne sia stato boicottato dalla maggior parte dei partiti politici che denunciano l’operato del presidente.
Le elezioni si sono tenute successivamente ad una modifica molto “discutibile” dato che la nuova normativa prevede che i candidati possano presentarsi alle elezioni parlamentari unicamente come singoli individui e non come facenti parte di un partito politico. Questa modifica influisce negativamente anche sul ruolo politico delle donne.
La data scelta è sicuramente carica di un simbolismo ormai storico: il 17 dicembre 2011 ricorre l’anniversario della morte di Mohamed Bouazizi, l’ambulante che si diede fuoco a causa delle vessazioni economiche della polizia locale. Fu proprio questo gesto emblematico ad infiammare numerose nazioni e a segnare un innegabile spartiacque politico.
Un anno fa circa, Kais Saied ha destituito il governo e sospeso alcune parti della Costituzione tanto difficilmente promulgata nel 2014, a seguito delle cosiddette “Primavere Arabe”.
Per avere una più chiara misura delle cifre numeriche bisogna tenere conto che il parlamento “congelato” era stato supportato da un’affluenza di circa il 40%. Nonostante ciò, nel 2021, la “compromissione” della democrazia fu relativamente accettata in quanto l’operato di Ennahda, principale partito di opposizione a forte matrice confessionale, era stato valutato come lacunoso (nel migliore dei casi) o volutamente caratterizzato dalla corruzione (nella peggiore delle ipotesi). Nejib Chebbi, leader del Fronte di Salvezza Nazionale (una coalizione di partiti politici diversi), ha pubblicamente espresso il convincimento che il referendum sia stato un fiasco. Noureddine Taboubi, segretario dell’UGTT (sindacato dei lavoratori in aperto contrasto con le politiche presidenziali) aveva espresso parole che esortavano il popolo a non presentarsi alle urne.
Il presidente Saied, dopo aver “liquidato” il premier e sospeso l’attività parlamento dal luglio del 2021, ha fatto sì che fosse approvato un testo costituzionale che gli garantisse un governo uni-personale: il capo di Stato ha acquisito il totale controllo esecutivo ed ha assunto il comando supremo dell’esercito. Saied ha sempre sostenuto che questa fosse una mossa indispensabile per condurre il paese verso una rinascita economica e sbloccare la paralisi politica che si era generata.
Crisi idrica
La Tunisia è attanagliata per il sesto anno consecutivo da una gravissima crisi idrica. Yassine Mami, deputato eletto nel collegio di Hammamet, ha descritto l’avvio di un piano per il razionamento d’acqua che colpisce la quasi totalità del paese. I turisti non sembrano salvarsi da ciò dato che ne è prevista l’attuazione in tutta l’area del governatorato di Nabeul (di cui fa parte anche Hammamet).
Fonti ufficiali riportano dati secondo i quali, nel corrente mese, i valori di “pienezza” delle dighe del paese raggiungono solo il 31% della capienza, ovvero 734 milioni di m3. La media degli ultimi tre anni si attestava a 1263 milioni di metri cubi di acqua.
Crisi economica
A complicare il quadro tunisino è la situazione economica. Per il 19 dicembre 2022 era prevista una riunione del Comitato esecutivo del Fondo monetario internazionale (FMI), ma è stata rimandata perché si sarebbe dovuto dare l’approvazione finale per un piano di aiuti del valore di circa 2 miliardi di dollari.
A tale iniziativa si era giunti nella metà del mese di ottobre ma il nuovo disegno di legge finanziaria promulgato dal presidente Saied nei primi giorni di dicembre non avrebbe reso possibile rispettare gli impegni presi per ottenere il finanziamento.
Dopo mesi di trattative infruttuose, ad inizio marzo “Il sole 24 ore” spiega le motivazioni secondo cui il FMI avrebbe sospeso gli aiuti a Tunisi: La Banca mondiale sospende «temporaneamente» alcuni dei suoi programmi in Tunisia, dopo l’escalation di violenze contro i migranti dell’Africa subsahariana scatenate dalle parole del presidente in carica Kais Saied. La sicurezza e l’inclusione di migranti e minoranze, scrive in una nota l’istituto di Washington, sono «parte dei nostri valori di inclusione, rispetto, anti-razzismo in tutte le sue forme»[1].
Crisi migratoria ed immigratoria
La Tunisia è sempre stata immaginata come un paese “problematico” per quanto concerne le migrazioni la cui meta fossero i paesi europei e tale assunto è nella realtà una devastante costante.
È difficile, nella logica buonista strumentalizzata da alcune parti politiche del nostro paese, sostenere che i tunisini scappino da guerre e persecuzioni, ma il cortocircuito mediatico non avrebbe mai potuto ipotizzare di tacciare di razzismo il paese. La Tunisia, nel 2018, è stato il primo paese dell’area MENA[2] (Middle East and North Africa) a promulgare una legge che penalizzi la discriminazione razziale ma il fenomeno è antecedente all’emanazione legislativa.
Secondo un sondaggio commissionato dalla Bbc nel 2022, infatti, l’80% dei tunisini ritiene che la discriminazione razziale sia un problema nel proprio paese. Con il pretesto di “difendere la sovranità tunisina”, negli ultimi mesi, il poco noto Partito Nazionalista tunisino – che tuttavia trova ampi spazi di manovra nell’attuale contesto – sta conducendo una campagna basata sulla richiesta di espulsione dei migranti irregolari provenienti dai paesi subsahariani[3].
Il 21 febbraio, nel corso di una riunione del Consiglio superiore per la sicurezza nazionale che come tema cardine aveva il tema dell’immigrazione irregolare degli africani sub-sahariani, Kais Saied ha rilasciato delle dichiarazioni che hanno suscitato perplessità a livello internazionale: “C’è stata la volontà, dall’inizio di questo secolo, di cambiare la composizione demografica della Tunisia” e ancora “Attraverso queste ondate successive di migrazione irregolare, si cerca di fare della Tunisia un Paese puramente africano che non appartiene al mondo arabo-musulmano”[4].
Sembra che il presidente abbia anche fatto allusioni inerenti lo scambio di ingenti somme di denaro successive al 2011 per “facilitare” l’insediamento nel paese di persone provenienti dall’area sub-sahariana. Tale affermazione allude alla dichiarazione “Coloro che stanno dietro a questo fenomeno fanno tratta di esseri umani, mentre pretendono di difendere diritti umani”[5]
Quanto dichiarato ha prevedibilmente scatenato forti critiche, soprattutto da parte delle autorità dei paesi europei. Forse tendiamo spesso a dimenticare che non solo i paesi del vecchio continente sono ipoteticamente soggetti al “virus” del razzismo, ma ammettere ciò complicherebbe la narrazione di un mondo diviso tra chi vuole per forza descrivere l’evento migratorio come “fattualmente indispensabile nella sua estrinsecazione caotica” e chi vorrebbe gestire il fenomeno in maniera avveduta, abbandonando l’illogicità della prassi emergenziale, e pertanto accusati di retaggi desueti conditi da tracce di tratti colonialisti violenti.
Il governo italiano ha assunto una posizione netta: aiutare la Tunisia è l’unico modo per gestire l’aumento di fenomeni migratori sempre più pressanti e caratterizzati da una “globalizzazione” capace di far implodere qualsiasi paese. Il partenariato Roma – Tunisi, corroborato dal continuo impegno del Fondo Monetario Internazionale verso lo stato nord africano, è l’unica via praticabile per impedire una catastrofe umanitaria senza precedenti.
Arianne Ghersi
[1]https://www.ilsole24ore.com/art/tunisia-banca-mondiale-sospende-suo-programma-le-violenze-razziste-scatenate-saied-AEsxJRzC
[2] Il termine si riferisce ad un’ampia regione, estesa dal Marocco all’Iran, che include la maggior parte sia degli Stati mediorientali che del Maghreb. Il termine è sinonimo di Grande Medio Oriente (quest’ultimo, però, ricomprende a volte Afghanistan e/o Pakistan)
[3]https://www.geopolitica.info/tunisia-proteste-migrazioni/
[4]https://www.africarivista.it/tunisia-presidente-saied-fa-muro-contro-i-migranti-subsahariani/213359/
[5]https://www.africarivista.it/tunisia-presidente-saied-fa-muro-contro-i-migranti-subsahariani/213359/
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