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IL RIAVVICINAMENTO TRA TURCHIA E ISRAELE: IL RUOLO DELL’ IRAN

Nel periodo storico attuale la parola variante è indubbiamente molto in voga, ma il significato che può assumere in geopolitica non lo si può certo ricondurre ad una presunta contagiosità, ma alla reale ripercussione delle scelte prese.

La Turchia, ormai da mesi al centro delle cronache mondiali anche per il conflitto ucraino, deve oggi fronteggiare un nemico che si fa strada al suo interno. Subito dopo le cosiddette “Primavere Arabe” e l’alleanza con il Qatar nello scacchiere libico, Erdoğan ebbe grossi problemi con il proprio elettorato tanto che il 15 luglio 2016 il premier turco fu vittima di un tentato colpo di stato. La situazione si stabilizzò nel giro di poche ore, ma nella mente di molti rimangono ancora impresse le immagini di un Erdoğan solo su un aereo pronto a chiedere il permesso ad altri stati di atterrare.

Da allora la visibilità del premier anatolico è sicuramente aumentata e il suo operato è vissuto dai suoi compatrioti come qualitativamente migliorato.

La Turchia si impegna oggi su molti fronti internazionali: mediatore in Russia e Libia in primis.

La realtà, però, è che gli equilibri in Medioriente sono variati e non per via del caso ucraino, ma per le decisioni intraprese dai singoli stati. Il vero spartiacque sono gli Accordi di Abramo, con cui l’amministrazione Trump puntava alla legittimazione dello stato d’Israele da parte degli attori politici dell’area e, allo stesso tempo, al graduale disimpegno degli Usa in tali scenari. Sicuramente non era prevista una catastrofica ritirata come avvenuto in Afghanistan, ma si puntava sicuramente all’indipendenza strategica militare di alcuni stati che hanno sempre visto gli Stati Uniti come un alleato pronto a difenderli (il caso più emblematico è sicuramente l’Arabia Saudita).

Alla luce degli Accordi di Abramo, gli stati del Medioriente e del Nord Africa si possono dividere in tre sommari blocchi:

– i sottoscrittori degli accordi: hanno riconosciuto lo stato di Israele e, nella stragrande maggioranza dei casi, hanno ottenuto in cambio concessioni territoriali, liceità politiche o hanno guadagnato legittimità agli occhi della diplomazia internazionale

– gli scettici: non hanno aderito, potrebbero farlo in futuro, ma a causa di politiche interne ai propri stati improntate ad un antiamericanismo ed antisionismo striscianti temono che ciò che potrebbero “guadagnare” sul lungo termine possa essere meno “importante” del salvaguardare l’establishment attuale da azioni di dissenso dei cittadini capaci di rovesciare governi e regimi

– i contrari: sono stati o territori che perderebbero la loro stessa essenza se mai decidessero di ipotizzare un simile scenario (il caso emblematico è la Palestina).

Quanto descritto serve a comprendere quanto sia complesso per la Turchia stringere solide alleanze perché, soprattutto gli stati scettici, potrebbero promettere concessioni fittizie e rifiutare gli impegni presi nel momento in cui le condizioni interne fossero favorevoli alla stipula degli accordi.

Esistono relazioni bilaterali tra Turchia e Israele fin dal marzo 1949 e, secondo un rapporto stilato dal The New York Times nel 1999, tale partenariato era potenzialmente capace di incidere in maniera decisiva sull’intera politica mediorientale. Con Erdoğan sembra evidente che tale equilibrio sia stato rallentato.

Canale 12, la tv commerciale di Israele con il maggior auditel, riporta la notizia secondo cui i Pasdaran (braccio armato degli ayatollah iraniani) sarebbero pronti a colpire cittadini dello stato ebraico su territorio turco; numerosi sono gli appelli alla cautela. Fonti non ufficiali confermano la notizia e menzionano azioni del Mossad (già conclusesi) mirate alla garanzia dell’incolumità di uomini d’affari israeliani.

Quanto avviene è da configurarsi in un più ampio scenario a carattere diplomatico: sono infatti in corso le trattative per scongelare il piano nucleare iraniano (Jcpoa) e Israele non ha mai nascosto la sua netta contrarietà verso questa apertura. Altre ipotesi ventilano la possibilità che i Pasdaran siano stati capaci di infiltrare propri “uomini di fiducia” all’interno del contesto diplomatico turco. Israele considera la Turchia un importante centro logistico per le Quds Forces (facenti capo al Corpo delle Guardie della rivoluzione islamica, specializzate nella gestione di forze speciali e raccolta di informazioni militari).

Quanto descritto pone in serio pericolo la Turchia, anche dal punto di vista interno: lo stato infatti sta tentando di ricucire i rapporti con Israele e, a conferma della serietà delle ipotesi ebraiche, le forze di sicurezza turche tentano un controllo su quanto manovrato dall’Iran.

Si dimostra così la veridicità del vecchio adagio: il nemico del mio nemico è mio amico ed Erdoğan, impegnato in una colossale manovra di “marketing” sta sicuramente tenendo a mente questo detto popolare.

Arianne Ghersi

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