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LA DESTRA FRANCESE HA PERSO UN’ OCCASIONE. MA ORA PUO’ ESSERCI LA SVOLTA

Come nel 2017, anche stavolta Emmanuel Macron ha sconfitto Marine Le Pen alle elezioni presidenziali francesi. Ma, a differenza del 2017, la destra francese uscirà dal voto decisamente cambiata.

Un’altra occasione persa per la destra

Macron nel 2017 era stato il presidente meno suffragato della storia politica recente di Francia. Un record negativo che ha alimentato durante il suo mandato, aumentando fratture sociali che hanno avuto culmine in episodi come la rivolta dei gilet gialli o il separatismo territoriale delle comunità musulmane, arrivando così al voto con un consenso molto basso. Tanto che al primo turno il 70% dei francesi aveva scelto di non votare per lui. Occasione d’oro per la destra, in un paese in cui il presidente uscente raramente viene rieletto. 

E invece Macron è stato rieletto con quasi il 60% dei consensi, al di sopra delle previsioni di tutti i sondaggi, vincendo la sua scommessa ardita: favorire il più possibile la concentrazione del consenso sugli avversari del 2017 che, in virtù delle loro caratteristiche “estremiste”, gli avrebbero consentito al ballottaggio di coalizzare il resto delle forze politiche e degli elettorati su di sé in nome del meno peggio. 

Il crollo della destra “classica”: la sindrome centrista ha ucciso i repubblicani

La vittima eccellente delle elezioni francesi è il partito dei repubblicani. Fagocitarli era l’obiettivo politico di Macron che, dopo aver ucciso nel 2017 il partito socialista, voleva fare lo stesso con l’altro partito cardine del sistema politico francese per imporre definitivamente un ampio spazio di centro privo di scomodi concorrenti e destinato dunque a continue vittorie secondo la logica del “meno peggio” di fronte alla destra e alla sinistra populiste. 

Per riuscirci, ha prima portato i repubblicani ad appiattirsi sulla sua politica, poi li ha depredati di parte di classe dirigente e infine li ha indotti a scegliere come candidata un suo alter ego, Valerie Pecresse, prima uscita dai repubblicani perché “troppo di destra” e poi rientrata per candidarsi senza possibilità di sfondamento ma con già in tasca un accordo con Macron per sostenerlo al ballottaggio. Risultato è stato il crollo del partito gollista dal 20% di cinque anni fa al 4,8%, al di sotto addirittura della soglia minima necessaria per ottenere il finanziamento elettorale.

La mutazione del “lepenismo”: il Rassemblement National da destra identitaria a populismo in stile vecchio 5 Stelle

Nel frattempo Marine Le Pen ha progressivamente spogliato il suo partito di tutte le battaglie più identitarie (famiglia, identità, lgbt ecc.) concentrandone l’azione in modo sempre più esclusivo sulle questioni economiche e trasformando il Rassemblement National in una sorta di “partito del potere d’acquisto” nel nome della lotta popolo contro élite. Portando ormai a compimento una mutazione avviata al momento delle elezioni precedenti, però avversata dalla corrente più conservatrice e identitaria del partito, e che ha preso una definitiva accelerazione dopo la progressiva dipartita dei vari rappresentanti di tale corrente. 

Risultato è stata una mutazione elettorale innanzitutto quantitativa: se al primo turno in realtà il numero di voti presi dal RN è stato sostanzialmente lo stesso di cinque anni fa, al ballottaggio i sostegni attirati sono passati dal 33% al 41%. Ma anche una mutazione qualitativa del voto. Dall’analisi dei risultati emerge infatti che al primo turno un terzo del suo elettorato ha votato Le Pen non per sostegno diretto bensì per sbarrare l’accesso al ballottaggio a Melenchon e quasi a metà è stato fino all’ultimo indeciso con un altro candidato. Un voto dunque diventato più accettabile come opzione ma al contempo meno solido. 

La novità Zemmour: il nuovo partito conservatore che ha fatto saltare il cordone sanitario a destra

Il declino dei repubblicani e l’abbandono dei temi identitari da parte di Le Pen ha lasciato un vuoto politico a destra che ha riempito l’intellettuale conservatore, ritrovatosi il giorno prima dello scoppio della guerra in Ucraina – dopo solo tre mesi dalla discesa in campo – con il più grande partito di Francia per numero di iscritti e un consenso al 17%. L’offuscamento della campagna elettorale a causa della guerra, la propaganda prima pro “voto utile” sopra descritta stimolata da Macron hanno però convinto la fetta di elettorato lepenista che aveva deciso di seguirlo a rivolgersi ancora una volta alla loro leader più nota. Ma la creazione del partito conservatore Reconquete ha fatto saltare il piano di Macron di fagocitare i repubblicani. 

Sebbene infatti i media lo avessero dipinto come l’estrema destra delusa dall’accentramento della Le Pen, il voto certifica invece una realtà molto diversa. Mentre il voto del Rassemblement National è quasi esclusivamente proveniente dai ceti popolari, Reconquete è riuscito in ciò che a destra sembrava impossibile: ottenere il voto della borghesia, conquistando percentuali eclatanti, tra il 15% e il 20%, in zone fino a ieri inaccessibili come il centro di Parigi, Versailles, Saint Tropez, eccetera.

Tutto ciò ha delle possibili conseguenze rilevanti:

  • Macron dovrà probabilmente abbandonare il suo sogno del grande centro per virare a sinistra. L’OPA sui repubblicani infatti è riuscita solo in parte. Il presidente uscente è riuscito a far suo l’elettorato più centrista ma quello più conservatore ha invece sposato il progetto di Zemmour, facendo perdere così probabilmente in via definitiva all’inquilino dell’Eliseo il sogno di metterseli tutti in tasca. E durante il ballottaggio ha iniziato a spingere sui temi cari ai socialisti. L’esito potrebbe essere un definitivo posizionamento di Macron nello spazio politico del “centrosinistra”, approfittando di un partito socialista sprofondato all’1,7% e del ritiro di Melenchon, il cui risultato del primo turno è stato anch’esso per il 50% frutto non di appartenenza politica ma di voto utile. Elettorato dunque facilmente contendibile.
  • Quel che resta del partito repubblicano è obbligato a scegliere da che parte stare. Pur restando il solo partito a destra dotato di un numero significante di amministratori locali, l’unico elettorato rimastogli a livello nazionale è infatti, dati alla mano, quello degli affezionati al simbolo. Un voto di abitudine, fatto da un elettorato di anziani. Troppo fragile per continuare su una strategia dell’ambiguità perseguibile ora che Zemmour ha aperto il vaso comunicante a destra e Macron quello a sinistra. E infatti una parte si sta già accordando con quest’ultimo, obbligando l’altra a uscire allo scoperto e a chiedersi come fare per tornare a destra.
  • Per la prima volta in Francia le destre si ritrovano dunque a dibattere di coalizione. Il sasso lo ha lanciato il partito di Zemmour che ha fatto del tema della riunificazione delle destre la sua strategia principale. Marine Le Pen ha respinto al mittente la proposta ma la stragrande maggioranza dell’elettorato di destra si sta dichiarando invece favorevole. D’altronde elettoralmente ciò significherebbe secondo le simulazioni la possibilità di ottenere circa 150 parlamentari, cosa mai accaduta a destra, mentre senza alleanza la cifra scenderebbe a una ventina. E ormai anche la natura delle tre forze politiche è pressoché complementare: il Rassemblement National ha il ceto popolare, Reconquete ha il ceto medio e i repubblicani hanno il radicamento a livello locale. In prospettiva, ognuno ha bisogno dell’altro. 
  • Tra due anni a Bruxelles PPE e socialisti rischiano di restare senza la Francia. Con questi dati elettorali infatti tra due anni incredibilmente né i socialisti né i repubblicani entrerebbero al Parlamento Europeo. Il che significa che né il PPE né il SD, cioè i due grandi partiti europei, avrebbero rappresentanza in quella Francia che insieme alla Germania costituisce l’architrave dell’Unione Europea. Anche questa, una rivoluzione politica. Che potrebbe portare i socialisti europei a serrare i ranghi con la sinistra radicale e i popolari europei a ricollocarsi invece più a destra approfittando della nascita e della crescita dei partiti conservatori. 

Vincenzo Sofo – Eurodeputato ECR-FDI

( tratto da vincenzosofo.it )

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